La Libia: "A Gaza come nei lager nazisti". Roma blocca il vertice Onu

Incidente diplomatico al Palazzo di Vetro: l’ambasciatore Spatafora reagisce alle accuse di Tripoli e fa interrompere il dibattito dopo le proteste dei rappresentanti dei Paesi occidentali

La Libia: "A Gaza come 
nei lager nazisti". Roma 
blocca il vertice Onu

New York - Il rappresentante libico al Consiglio di Sicurezza dell’Onu paragona i campi profughi palestinesi a Gaza a quelli nazisti della Seconda guerra mondiale e l’ambasciatore italiano fa interrompere la riunione per protesta: un gesto molto raro e significativo. È accaduto mercoledì notte al Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite a New York durante una seduta dedicata al Medio Oriente.

Il Consiglio di Sicurezza stava valutando il contenuto di una dichiarazione ufficiale sulla situazione umanitaria a Gaza. Non si riusciva, come già diverse volte in precedenza, a trovare un’intesa sull’atteggiamento da prendere nei confronti di una situazione che ha due facce contrapposte: da una parte i continui lanci di razzi messi in atto da Hamas contro il territorio di Israele, dall’altra l’assedio israeliano a Gaza. Proprio oggi l’Onu ha sospeso le operazioni umanitarie nella Striscia perché Israele, lamentando attacchi come quello di qualche giorno fa a un deposito presso il confine, ha sospeso le forniture di carburanti.

Nell’ultima seduta lo stallo si è ripresentato e gli Stati Uniti hanno preso atto della mancanza di unanimità sul documento. A quel punto l’ambasciatore libico, Giadalla Ettalhi, ha preso la parola e ha fatto il paragone storico che ha irritato i rappresentanti occidentali. A suo dire la situazione attuale nei campi profughi palestinesi nella Striscia di Gaza è simile a quella nei lager nazisti di un tempo. Ettalhi ha anche richiesto che nel testo che si sarebbe dovuto approvare venisse impiegata la parola «Olocausto».

L’ambasciatore francese Jean-Maurice Ripert si è tolto gli auricolari, si è alzato e se ne è andato. Il suo gesto di protesta è stato imitato dai rappresentanti di Stati Uniti, Gran Bretagna, Belgio, Croazia e Costa Rica, mentre altri sono rimasti al loro posto. L’ambasciatore italiano Marcello Spatafora è allora intervenuto per far comprendere al presidente di turno, il sudafricano Dumisani Kumalo, che era opportuno chiudere immediatamente il dibattito. E così è stato.
L’incidente ha avuto inevitabilmente degli strascichi. L’ambasciatore americano Alejandro Wolff ha attaccato con termini duri l’uscita del collega libico, sostenendo che le sue dichiarazioni sono «indicative del livello di ignoranza storica e della insensibilità morale che stanno alla base dell’impossibilità del Consiglio di Sicurezza di agire in Medio Oriente e di trovare un accordo di pace.

E mentre il portavoce del ministero degli Esteri di Israele si compiaceva dell’accaduto («i diplomatici occidentali hanno fatto quel che andava fatto in questa situazione, vanno applauditi»), Tripoli non cambiava atteggiamento. Ibrahim Dabbashi, viceambasciatore libico all’Onu, ha anzi rilanciato: a suo dire a Gaza «è anche peggio che nei campi di concentramento nazisti, perché ci sono i quotidiani bombardamenti israeliani, che sui lager non c’erano». Il rappresentante siriano Bashar Jaafari (l’unico altro arabo nel Consiglio di Sicurezza) gli ha dato ragione. «Purtroppo - ha affermato - coloro i quali si lamentano di essere stati vittima di un genocidio ripetono lo stesso tipo di genocidio contro i palestinesi».
L’uscita libica al Palazzo di Vetro è motivo di un certo imbarazzo per gli Stati Uniti. Washington, al termine di un lungo percorso diplomatico che ha portato alla ripresa di buoni rapporti con la Libia di Gheddafi un tempo sostenitrice del terrorismo internazionale, ha tolto infatti il suo veto all’ammissione di un rappresentante libico nel Consiglio di Sicurezza.

E in Italia il segretario

del Pri (ora nel Pdl) Francesco Nucara ha preso posizione complimentandosi «vivamente» con l’ambasciatore Spatafora. «Chiediamo - ha aggiunto - che la Farnesina chieda spiegazioni e pretenda le scuse del governo libico».

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