Libri proletari Servire e leggere il popolo

Ma perché la nostra narrativa è sempre stata incline al piagnisteo, ai buoni sentimenti e allo spiritualismo campagnolo, senza grande respiro esistenziale che non sia tra un campo e la fabbrica vicino casa? Già i tre contadini di Ignazio Silone vestono presto i panni dei Tre operai di Carlo Bernari, come oggi gli operai di Edoardo Nesi, di Antonio Pennacchi, di Silvia Avallone o di Mario Desiati, tra industrie malefiche e campagne pugliesi e toscane e premi conferiti all’impegno civile. Così come tra la fine degli anni Trenta e il decennio successivo spuntavano come funghi gli operai di Romano Bilenchi - Il capofabbrica, Anna e Bruno, Mio cugino Andrea - mentre Mario Tobino esordisce con Il figlio del farmacista e più in là non si andava.
Si vorrebbero affermare «nuovi realismi», come però di «nuovo realismo» scriveva già Arnaldo Bocelli sul Corriere Padano il 21 luglio 1931, quando anche nella Germania nazista si discuteva di Neue Sachlichkeit. E «Tutti gridano: il vero!» scriveva Antonio Fogazzaro a fine Ottocento.
E passati fascismo e guerra si parlerà subito, ancora, di neorealismo, con i soliti aut-aut e scelte ridicole fra la minestra e la finestra: gli Uomini e no di Elio Vittorini, analoghi ai berlusconiani e agli antiberlusconiani di oggi, come ai tempi di Dante: o guelfi o ghibellini. E poi Piero Jahier che, prima di denunciare l’alienazione impiegatizia, proponeva: Con me e con gli alpini. Come Fabio Fazio e Roberto Saviano: Vieni via con me.
Così l’impegno dei giovani di oggi, che si chiamano TQ e non sono poi così giovani, già suonava vecchissimo nel 1961, quando Vittorini, Ottiero Ottieri, Giovanni Giudici e Vittorio Sereni organizzavano dibattiti su Industria e letteratura, invocando: «un nuovo impegno», sempre lo stesso, con molte cose che andavano superate per vivere meglio. Che fossero state almeno, queste cose, l’entropia e la seconda legge della termodinamica o le scoperte sconcertanti della biologia. Macché: «Il nuovo individualismo approda a una perdita completa dell’individuo nel mare delle cose», cioè, anche per Italo Calvino: La speculazione edilizia e La nuvola di smog. Oppure L’integrazione e La vita agra di Luciano Bianciardi, o peggio ancora Donnarumma all’assalto di Ottiero Ottieri: «Sono un impiegato addetto all’ufficio del personale del nuovo stabilimento meccanico costruito a Santa Maria da una grande società del nord...».
E poi ancora operai (della Fiat) e coscienza di classe in Vogliamo tutto di Nanni Balestrini, Vita operaia in fabbrica: l’alienazione e Le ferie di un operaio del calabrese Vincenzo Guerrazzi, e Tuta blu. Ire, ricordi e sogni di un operaio del Sud del pugliese Tommaso di Ciaula, e la storia di Albino Saluggia nel Memoriale di Volponi, ovviamente un operaio, e tutti chiaramente candidabili al premio Strega.
Fino ai sottoproletari di Pier Paolo Pasolini e fino alle prolisse prediche di Aldo Busi, scrittore e «cittadino» impegnato, e le marce di Antonio Moresco per salvare l’Italia dalla cattiveria. In fin dei conti non c’è l’ombra di uno scrittore veramente stronzo e assoluto, nessun Proust e nessun Céline, nessuna modesta proposta à la Swift, perfino se scrivi che di Wikipedia ti fa schifo si scandalizzano.

Qui solo gente che vuole migliorare il mondo, o più spesso il proprio Paese, la propria regione, il proprio condominio. Solo Leopardi, in fondo, aveva capito che «costante giudizio della moltitudine è che chiunque voglia eleggere elegga di esser buono: gli sciocchi siano buoni, poiché altro non possono».

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