Dei capolavori della letteratura del Novecento libri su cui sarà possibile, tra mille anni, ricostruire una civiltà degna di essere detta ancora "umana" La morte di Virgilio è il più negletto. È il più negletto perché è il più vertiginoso: è un libro che pretende un lettore-aquila, un lettore discepolo, disposto ad abbandonare trionfali convinzioni per una conversione radicale del proprio essere. In Italia, Der Tod des Vergil uscì, in prima edizione, nel 1962, per Feltrinelli. In copertina campeggiava l'immagine dell'autore: capelli al vento, occhi spiritati, profilo da rapace, Hermann Broch (1886-1951) pareva sfondare il tomo per avventarsi contro l'avventato lettore. Era morto undici anni prima, a 64 anni, a New Haven, Connecticut. Hannah Arendt ne fu sconvolta: scrisse, nei quaderni, di un uomo "inamovibile, duro come una pietra dietro la facciata del viennese", recinto da "un dono eccezionale", una specie di Atlante costretto "a portare sulle proprie spalle, fino a esserne schiacciato", un mondo che si era trasformato "in autentico labirinto". In un articolo pubblicato sulla Kenyon Review, era il 1949, scrisse che Hermann Broch, come Marcel Proust e James Joyce, aveva mutato per sempre il concetto stesso di romanzo, "un genere letterario che grazie a lui, ora, sconfina nel poema e ha affinità con la filosofia". L'amicizia tra Broch e Hannah Arendt è testimoniata dal Carteggio edito da Marietti in nuova edizione nel 2021.
Nato a Vienna nel giorno di Ognissanti del 1886 da ricca famiglia di industriali ebrei, Hermann Broch cominciò ad appuntare La morte di Virgilio nel 1936: sarebbe diventato il libro della vita. Elaborato dopo l'Anschluss e durante la prigionia ad Alt-Ausse, fu compiuto negli Stati Uniti, dove Broch riuscì a rifugiarsi dall'ottobre del 1938: grazie a una cospicua donazione 4mila dollari da parte della Duke Foundation La morte di Virgilio esce nel 1945, in inglese e in tedesco, per Pantheon Books. Nel frattempo, era stata offerta a Broch la cattedra di Tedesco a Yale, dove sono attualmente custoditi i suoi archivi.
Strutturato secondo i quattro elementi Acqua, Fuoco, Terra, Etere , La morte di Virgilio si riassume facilmente: Broch racconta gli ultimi istanti della vita del poeta latino, attraccato a Brindisi dopo il viaggio in Grecia. Tra allucinazioni, visioni, tormenti il desiderio di incenerire l'Eneide e il dialogo, memorabile, con Ottaviano (da cui distilliamo una sentenza assoluta: "la vita è poca cosa quanto la morte; conduce a quella, ed entrambe sono nulla"), Broch affronta questioni verticali: il senso dell'arte, i rapporti tra scrittura e potere, il potere della parola, il significato della fede e del lento annientarsi nella combustione del tutto. Al di là delle strategie letterarie l'immane monologo interiore mutuato dall'amico James Joyce , La morte di Virgilio è un libro-mondo, anzi, è un libro-abisso, un romanzo che annienta ogni romanzo. Un romanzo testamentario e terminale, che si sviluppa secondo le spire del poema. "È impossibile scrivere un romanzo in questo modo", ha sentenziato, tempo fa, Ezio Raimondi, "È una specie di straordinaria sconfitta, che però porta il raccontare oltre le sue strade correnti". D'altronde, ogni grande romanzo trova valore nel suo naufragio. Di questa "sconfitta" era consapevole anche Broch: il suo desiderio, scrivendo La morte di Virgilio, era quello di superare i limiti della letteratura, dando voce a un'"esperienza mistica iniziatica". In una lettera del 1946, inviata a Hermann Weigand, lo scrittore specifica: "È proprio in un'epoca come la nostra, che per la sua nuda rozzezza altro non riesce a sopportare se non ciò che è assolutamente immediato e a tutto il resto rifiuta consistenza, che mi fa perspicua l'inadeguatezza dell'espressione artistica". Da qui, il romanzo che mette in scacco il romanzo, il romanzo del "non ancora, eppure già!", il romanzo-teurgia che opera per abolire il divario tra la vita e la morte. Insieme a Finnnegans Wake di Joyce e alla Trilogia del Nord di Céline, La morte di Virgilio costituisce il punto culmine e di non ritorno del romanzo occidentale è una specie di paradisiaca no man's land che, egualmente, conforta e mutila.
Nell'introduzione all'antica versione de La morte di Virgilio, Ladislao Mittner installava Broch, con Thomas Mann e Robert Musil, tra i massimi interpreti della via conoscitiva della letteratura, "arditi sperimentatori di tutte le possibilità insite nel moderno romanzo psicologico e saggistico". In realtà, Broch è alieno a tali categorie: il suo è un libro profetico, che ambisce, semmai, alla "conoscenza della morte"; è un libro dell'avvento, della venuta del Regno, un libro che potremmo chiamare Abele.
Scrittore per lettori insonni Adelphi riedita, grazie ad Ada Vigliani, alla spicciolata, alcuni libri, tra cui la trilogia I sonnambuli Broch è un esule dai fasti della cultura odierna. Così, la nuova traduzione de La morte di Virgilio, un evento, esce per un piccolo, audace editore, Bibliotheka (pagg. 432, euro 23), attrezzato alle imprese impossibili. Il curatore, Vito Punzi, lavora da anni nell'opera di Broch per De Piante ha raccolto, nel 2021, le poesie dell'austriaco come La verità solo nella forma , ci ha consegnato una versione sgargiante e insieme insigne, sessant'anni dopo quella di Aurelio Ciacchi. In uno dei passi-emblema del libro a pagina 253 Virgilio si fissa, malato, in uno specchio; "in quel volto cavernoso" scopre "tutti i volti della vita, l'abisso dei volti del passato, nel quale, un volto dopo l'altro, era precipitato". Un uomo che sprofonda nei rivoli di migliaia di altri volti: l'ultimo volto, quello "in cui aveva voluto trasformarsi attraverso la malattia, era il volto morente di suo padre, il volto del vasaio morente, che aveva posato la sua mano plasmatrice sulla testa del ragazzo". La morte di Virgilio è, tra l'altro, un romanzo astrologico: giace sotto l'egida dello Scorpione il segno zodiacale di Broch eternamente "inseguito dal Sagittario, che mira l'arco contro di lui".
Ebreo convertito al cattolicesimo, Hermann Broch regalò una copia de La morte di Virgilio, un libro "troppo assurdo", ad Albert Einstein, "come tentativo/ di ringraziamento per colui che regge il nostro cosmo".
Elias Canetti che lo ammirava fino all'istrice dell'invidia fece di Broch uno dei protagonisti del suo libro più bello, Il gioco degli occhi. Scrisse di un uomo "senza tregua", dinoccolato, mostruoso, donnaiolo per sortilegio del caos, con la "testa da uccello". Uno scrittore predatore. Uno scrittore finalmente di cui avere paura.