Litigava, sparava e uccideva: scoperto dopo mezzo secolo

Agguati a parenti e colleghi. Secondo i giudici il 75enne «odia il mondo»

(...) Grazie a quella pistola si sono riaperti fascicoli impolverati dagli anni, e delitti rimasti senza perché hanno avuto una spiegazione: se spiegazione si può chiamare l'odio incontenibile di Tanzarella per il mondo.
L’ultima puntata della saga di sangue di Tanzarella si svolge a Ostuni, vicino Brindisi, dove il 7 febbraio dell’anno scorso viene sparata una donna di 46 anni, Concetta Andriola. Sulle prime si pensa ad una storia di mala, anche perché il genero della donna, Gennaro Basile detto Pitbull, è un giovanotto che staziona in carcere. Ma prima di perdere i sensi del tutto la donna dice che a spararle è stato invece l’anziano vicino di casa con cui aveva litigato. Lui, Tanzarella. Che se ne è infischiato delle parentele importanti della donna, e ha sparato per uccidere. La 7,65 viene trovata e sequestrata. Ma il libro che si apre a quel punto sposta di colpo la storia venticinque anni indietro e mille chilometri a nord. Rho, periferia di Milano.
Tanzarella - che è nativo di Ceglie Messapico - era emigrato qui, e lavorava in una grande fabbrica chimica, la Vedril. La Vedril in quegli anni è teatro di fatti misteriosi. Quattro operai della fabbrica, uno dopo l’altro, vengono sparati. Il 3 aprile 1981 tale Giovanni Parrella viene colpito alle gambe. Il 16 marzo 1983 tocca a Giovanni Gioiosa, anche lui alle gambe. Il 23 dicembre 1984, antivigilia di Natale, Enrico Malena viene ucciso. Il 29 novembre 1985 l’ultimo episodio: l’operaio Michele Gatti viene sparato mentre torna a casa dal turno di notte, e inchiodato per il resto dei suoi giorni su una sedia a rotelle. A fare fuoco è sempre un uomo con un eskimo e un passamontagna sotto il cappello. «Camminava a papera», dicono i testimoni. In fabbrica è il panico. Ma le indagini non portano a nulla, la catena degli agguati si interrompe, i delitti restano impuniti. I sopravvissuti si rassegnano. Sulla scia di sangue della Vedril scende l’oblio.
Eppure ora si scopre che per quei delitti un indagato vi fu: Tanzarella. Tutte le tracce portavano verso di lui. Che i delitti nascessero in fabbrica, c’erano pochi dubbi. E l’unico a conoscere tutte le vittime, l’unico ad avere avuto da ridire con loro, l’unico libero dai turni al momento dei delitti, l’unico a camminare a papera, era lui. Quasi risibili i motivi di screzio. Un battibecco con Parrella, l’invidia per una promozione di Gatti, cose così. Le indagini, condotte dal sostituto procuratore Pietro Forno, puntano Tanzarella ma non approdano a nulla. Il giorno dell’ultimo delitto, quando viene ferito Michele Gatti, i carabinieri si fiondano a casa di Tanzarella a cercare l’arma che ha sparato. Non trovano nulla. L’indagine si spegne.
Eppure c’erano stati degli altri fattacci. Un altro salto indietro, ancora più lungo: 1955, Tanzarella ha ventidue anni appena. Litiga con la cognata per una bicicletta sparita, estrae il coltello, la insegue, la poveretta si rifugia da una vicina di casa: Tanzarella spara a tutte e due. È l’unico episodio per cui verrà indagato e condannato, ma se la caverà con poco. E infatti il suo carattere non migliora.

Nel 1977 litiga con un coinquilino, tale Giovanni Pavanello. Naturalmente pochi giorni dopo, mentre torna a casa, Pavanello viene ferito: a fare fuoco è uno sconosciuto in eskimo e passamontagna. Poi Tanzarella va a lavorare in Vedril. E inizia l’inferno.

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