Lizzani: sbagliano i politici di sinistra Venezia e Roma possono coesistere

Intervista con il regista che diresse e rinnovò la kermesse veneta tra il ’79 e l’82

Michele Anselmi

da Roma

Avevano firmato la tregua, ai primi di luglio, con tanto di conferenza stampa benedetta dal ministro Rutelli. Tutto inutile. Lo scontro tra Mostra di Venezia e Festa di Roma è diventato il tormentone dell'estate. Scontro reale, poi presunto, infine di nuovo reale; anche se nessuno dei due contendenti vorrebbe alimentarlo. Sdrammatizza, estenuato, Davide Croff, presidente della Biennale. Anche il suo omologo romano, il senatore diessino Goffredo Bettini, minimizza. In compenso incrociano virilmente le sciabole il sindaco Cacciari e l'assessore Borgna: il primo, come sapete, minacciando di «metter mano alla pistola» se lo Stato darà soldi alla Festa capitolina; il secondo enunciando «i difetti speciali che Venezia si trascina dietro da quindici anni». La piega presa dalla faccenda non piace a Carlo Lizzani. Ottantaquattro anni benissimo portati, il regista di Banditi a Milano accetta con qualche riluttanza di dire la sua. Per un quadriennio, dal 1979 al 1982, ha diretto e rinnovato la Mostra di Venezia.
Che cosa la infastidisce?
«La contesa andrebbe spogliata dei suoi contorni estivi, occasionali o politici. Consiglio di andare alla sostanza, cioè alla fisionomia dei due eventi. I quali possono benissimo convivere, proprio in virtù di ciò che Venezia porta scritto nel suo statuto e di quanto Roma ha annunciato».
Per essere più chiari?
«La Festa di Roma si propone, appunto, come una festa. Non troppo dissimile dalla Berlinale, festival che si ramifica nella grande città, con varie iniziative. La Mostra, invece, ha due caratteri: uno espositivo, l'altro legato alle caratteristiche culturali della Biennale, che non ha pari al mondo. Della mia gestione si ricordano le innovazioni, inclusa l'apertura a un certo cinema spettacolare. Ma ho sempre avuto presente che quel festival è inserito in un'istituzione di ricerca e di sperimentazione. Venezia potrebbe riprendere il discorso da lì. E la renderebbe imbattibile».
Ma se le «mitiche» attività permanenti sono sempre rimaste sulla carta...
«Lo so. Però bisogna provarci, crederci. Detto questo, di Roma mi attira l'aspetto ludico, di festa popolare. Di Venezia il profilo di eccellenza legato al cinema d'autore. Poi, certo, il problema delle date troppo ravvicinate esiste. Ma nel senso che potrebbe risentirne Roma. In questi primi anni Venezia manterrà intatto il suo carisma».
Dietro la disfida Venezia-Roma sembra profilarsi un dissidio tra Ds e Margherita. Un mal di pancia tutto interno alla sinistra.
«Per ora registro una polemica che rimanda all'immagine dei due festival. Non mi interessa. Ma capisco. Fa clamore, giornalisticamente, la concorrenza tra due importanti città amministrati dalla sinistra».
La concorrenza non potrebbe aver a che fare con l'egemonia culturale di antica memoria?
«Non escludo che la gestione dei festival contribuisca a costruire un tipo di egemonia culturale. Un'egemonia spesso regalata alla sinistra dalla destra. Può essere interessante seguire il gioco. Ma vorrei mettere in guardia i contendenti: se questa voglia di egemonia c'è, mi pare che il terreno sia abbastanza ampio per esercitarla in maniera diversa».
Quindi sbagliano Cacciari e Borgna a litigare.
«Certo che sbagliano. Vedo un errore di prospettiva nelle loro uscite. Si sono lasciati prendere da una polemica sbagliata, contingente. Non sono imbarazzato a parlarne, spero solo sia una tempesta in un bicchier d'acqua».
Sull’Unità Roberto Cotroneo ha scritto che la Festa del cinema è il Nuovo capace di sbullonare il Vecchio, ovvero «la cultura dogmatica e baronale» espressa dalla casta dei critici.
«Mah, la critica soffre dappertutto. I cosiddetti coloristi hanno preso campo, perché si crede che l'interesse del pubblico si concentri più sull'evento che sull'opera. Io stesso fui accusato di portare Massenzio dentro la Mostra, in realtà volevo solo allargare la fisionomia del festival, che era ingessato, aprendo ai giovani. Il che non significa abolire lo smoking. Di fronte a certi fenomeni di sciatteria e maleducazione un po' di eleganza non guasta».
Il quotidiano della Margherita ha scritto: «A Venezia gli autori, a Roma gli affari».
«Se così fosse, non ci vedo niente di negativo. Mica significa fare della Mostra un'isola degli autori: aristocratica e supponente. A Roma ci sarà una giuria popolare: basterebbe questo a chiarire le differenze tra le due iniziative».
A proposito di cine-giurie, che fine ha fatto quel suo progetto?
«Esiste ancora.

È una commedia divertente sull'ultima riunione di giuria prima del verdetto. I giurati vengono trasferiti su una nave per scongiurare fughe di notizie. E ne succedono di tutti i colori. C'è pure una giornalista che si fa passare per interprete».

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