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Londra incorona Cameron, ma regna l’incertezza

Sono passati meno di due minuti da quando il Big Ben ha battuto le 22. E il blu, il colore del conservatori, campeggia sulla torre dell’orologio più famoso al mondo. Gli exit poll dicono che i tory di David Cameron sono in testa con 305 seggi, seguiti dai laburisti con 255, dai liberaldemocratici con 61 e dai partiti minori con 29. Ma il presagio delle ultime settimane si è avverato: nessun partito ottiene la maggioranza assoluta. L’hung Parliament è una realtà. Nessuno raggiunge quota 326 seggi, la metà più uno in quella House of Commons che negli ultimi 13 anni di potere laburista era abituata a larghe maggioranza all’ombra di Tony Blair. C’è un terzo incomodo, i liberaldemocratici di Nick Clegg, che spezzano il bipartitismo e mettono in discussione il sistema elettorale che da secoli garantisce la governabilità e la stabilità. Non solo. Nell’elezione più incerta e più appassionante degli ultimi trent’anni «cautela» è la parola d’obbligo. Perché in molti seggi la sfida è sul filo del rasoio e gli exit poll potrebbero non essere così affidabili come vuole la tradizione.
Eppure a rompere l’ansia di una nottata elettorale fra le più frenetiche che il Paese ricordi, poco dopo gli exit poll, quando il conteggio reale dei voti è appena cominciato, è il leader dei «nuovi» conservatori David Cameron. Da tempo aspettava questo momento: «È una vittoria decisiva. Con questo risultato possiamo governare». È un copione che Cameron aveva programmato, un modo per rompere gli indugi e lanciare un messaggio al Paese e alla regina Elisabetta che dovrà incaricare il futuro premier, un modo per dire che anche con questi numeri i tory potranno andare al potere, formando un governo di minoranza o cercando alleanze - peraltro già sondate - con i partiti minori, in testa gli unionisti dell’Ulster.
Ma la situazione è più complicata. Se è vero che il voto segna la fine degli anni d’oro del New Labour, se è vero che il sipario è calato sulla «Cool Britannia» del boom economico e del blairismo, se l’avanzata tory è un dato di fatto, il tentativo di formare un nuovo governo potrebbe ancora restare nelle mani di Gordon Brown. Secondo la costituzione - si premura di confermare anche il ministro Peter Mandelson, vecchia volpe del Labour - è il partito di governo uscente ad avere il diritto di tentare per primo la formazione di un nuovo governo. Brown arriva secondo ma potrebbe tenere in mano le redini del Paese. E potrebbe anche tentare un’alleanza con i libdem, terzo incomodo di questa elezione, apparentemente ridimensionati dagli exit poll e con i quali il Labour non raggiungerebbe comunque la maggioranza assoluta.
È proprio il risultato dei libdem a rendere ancora più incerta ogni previsione. Gli exit poll dicono che mantengono appena i seggi del 2005. Un risultato imprevisto e la lettura di questi numeri è duplice: da una parte c’è il rischio che la stampa e la tv abbiano sopravvalutato e amplificato il fenomeno Clegg, dall’altra c’è il rischio che i dati reali dopo lo spoglio possano riservare nuove sorprese rispetto agli exit poll. Come se non bastasse, sono proprio gli elettori libdem a protestare nel collegio di Nick Clegg: furibondi, sostengono di essere stati allontanati dal seggio e di non aver potuto votare nonostante fossero in coda mezz’ora prima della chiusura delle urne.
Oggi alle 13 la patata bollente di questa risicata elezione passerà in mano alla regina Elisabetta. Sua Maestà incontrerà il vincitore che dovrà prospettarle i suoi piani di governo e convincerla di avere i numeri e la solidità per governare, mentre i mercati, con la crisi greca che incombe anche sulla Gran Bretagna, fremono per conoscere l’esito definitivo di questo voto.
La notte sarà lunga, il conteggio pure. E addirittura il rischio di riconteggio alto in molti seggi. Con un voto al fotofinish e un’affluenza alta la possibilità che i voti siano ricontati è reale. Perché c’è un altro dato che non è ancora stato ufficialmente rilevato ma renderà unica questa incerta elezione: è la partecipazione popolare.

Le tipiche code ordinate che ieri hanno affollato gli ingressi delle scuole, delle chiese, persino dei pub trasformati in seggi elettorali in questo trionfo di democrazia in salsa british dimostrano che la corsa a tre cavalli ha appassionato gli inglesi quanto le scommesse sull’esito del voto, che hanno toccato quota 25 milioni di sterline.

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