L'ora di lezione: "Così Napoleone ha creato le fake news"

Per far lezione il prof Enrico Galiano (insegna italiano) ha iniziato rivoluzionando la classe, quando ancora il Covid non imponeva "banchi fermi, ragazzi seduti e io ancorato alla cattedra"

L'ora di lezione: "Così Napoleone ha creato le fake news"

Per far lezione il prof Enrico Galiano (insegna italiano) ha iniziato rivoluzionando la classe, quando ancora il Covid non imponeva «banchi fermi, ragazzi seduti e io ancorato alla cattedra». Ma, appena possibile, posizionerà di nuovo i banchi a isole da 4 studenti. La lezione inizia con una prima parte «frontale» o meglio, come dice lui, «dialogata», che serve a spiegare il motivo per cui si studia quel tale argomento e si spiegano gli agganci con la vita attuale. «Ad esempio: Napoleone cosa ha a che fare con noi? - spiega Galiano - Si parla della propaganda e di come sia riuscito a creare un sistema di fake news per creare una leggenda intorno a sé, quando in realtà la sua vita era molto diversa da come era stata raccontata».

Ai vari gruppi viene assegnato un compito diverso: la creazione di un fumetto sulla Rivoluzione francese, o delle presentazioni come se l'argomento dovesse essere spiegato a un bambino. «C'è un ragazzo che non è stato abituato a studiare a casa e fa fatica, ma ha un umorismo particolare ed è davvero intelligente. A lui dico di mettere a disposizione il suo humour per realizzare il fumetto e così è capace di passare il pomeriggio sui libri per pensare alle battute che farà il giorno dopo, cosa che non farebbe certo se gli dicessi studia da pagina tale a pagina tale». A qualcuno tocca prendere in esame la vita amorosa di Napoleone, a qualcun altro la propaganda, o come viene dipinto dagli inglesi.

La ricerca non viene fatta con i cellulari, ma sui computer. «Ho delle remore sui cellulari perché li usano tantissimo nella vita normale. Quindi cerco di limitarne l'uso». Infine i ragazzi presentano il loro lavoro a insegnante e compagni.

«Alla fine il voto è una cosa in più. Non in prima, perché sono i ragazzi a chiederlo, altrimenti non sanno come definire il proprio lavoro, poi si abituano a una logica diversa e sanno loro stessi se hanno fatto un buon lavoro o no».

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