"La nota principale dell'opera lottesca è un essere ogni momento cosciente di ciò che passa nel proprio cuore e nella propria mente, un filtrare l'universo tangibile attraverso il tessuto del proprio temperamento", scriveva nel 1895 Bernard Berenson, che è stato lo scopritore moderno di Lorenzo Lotto. Tra i contemporanei il suo genio venne sottovalutato, anzi si può dire che soffrì di una "sventura critica", per usare le parole di Nadia Righi, direttrice del Museo diocesano Carlo Maria Martini, che con Axél Hemery, direttore dei Musei nazionali di Siena, ha presentato la "Natività" di Lorenzo Lotto (1480- 1556), ovvero il Capolavoro per Milano 2025, che il Museo ospita da oggi fino al primo febbraio 2026. "Lorenzo Lotto ti tira dentro, è un pittore psicologo, che rivela irrequietezza" osserva ancora Righi. E Hemery sottolinea "l'anticlassicismo, il richiamo al gotico, a ciò che si fa al di là delle Alpi".
La tavola ha un magnetismo impressionante: pur essendo di piccole dimensioni, attrae a sé e interroga, perché la scena è molto diversa dalle tradizionali. "Più che Natività dovrebbe intitolarsi il primo bagnetto di Gesù" osserva Righi. I colori sono sgargianti e sembrano emergere dal fondale scuro: blu e rosso, rosa e verde, ma a colpire di più è il bianco che arriva dal Bambino, dipinto in modo molto umano, naturale, con il cordone ombelicale ancora sul pancino. Al centro lo sguardo tra Maria e Gesù, con la Vergine che lo osserva con dolce tenerezza e al contempo lo affida al personaggio misterioso che si trova di fronte a lei. Il rosso della veste si riflette anche nell'acqua del bacile. Lo scorcio di un lettino, la piccola pentola accesa forse per nutrire la Vergine.
Una levatrice con le mani rattrappite, forse in attesa di un miracolo che sta per arrivare, come raccontato dai Vangeli apocrifi: l'identificazione si concentra tra Salomè e Anastasia. Sulla destra San Giuseppe con le braccia spalancate e le mani aperte, nella pienezza dello stupore per ciò che si è compiuto e continua a compiersi. Ma sono anche i dettagli a colpire, rivelati in pienezza dal breve video preparatorio alla visione dell'opera. Due minuti e mezzo che indugiano sul bue e sull'asino, colto nel momento del raglio, come a sottolineare la partecipazione della natura al prodigio. Sullo sfondo un altro punto di luce: è una levatrice. La tavola è incompleta, perché il legno è stato tagliato, verosimilmente nel Settecento, ma si può ammirare nella sua interezza in alcune copie anteriori.
"Lotto è un pittore difficilmente inquadrabile - racconta Righi -. Nasce a Venezia ma non è un pittore veneziano, nasce nel momento sbagliato e nel luogo sbagliato". Era il momento di Bellini, Vivarini, del primo Giorgione, ma lui non entra nella corrente che diventerà poi il colorismo, perché è nitido, lucido, dettagliato. Venezia non lo accoglie, è citato per la prima volta a Treviso, poi peregrina nelle Marche, finché nel 1509 viene intercettato da Giulio II e poi mandato via insieme a molti altri artisti quando a Roma arriva Raffaello. Entra in una crisi spirituale e umana dalla quale uscirà soltanto negli anni sereni di Bergamo, dal 1513 al 1526, durante i quali realizza questo dipinto. In basso a destra si vedono anche la firma e la data, che sembra essere più 1525 che 1521. Tornerà a Venezia, ma anche lì viene messo in ombra da Tiziano. Si ritira per uan decina d'anni nelle marche, poi diventa oblato nella Santa Casa di Loreto e di lui si perdono le tracce fino alla morte.
La mostra è realizzata con il patrocinio del Comune, di Regione Lombardia e del Centro Internazionale di Studi e Documentazione su
Lorenzo Lotto; sponsor Fondazione Monte di Lombardia, FNM, Enel; sostenitori: Fondazione Della Frera, Beta 80 Group, Gi Group, Fondazione Rocca, Manager Italia, SVS, BSTC; partner tecnico: Caimi; travel partner: Trenord.