Una giornata di una bellezza invincibile, il sole tra le montagne su un cielo azzurrissimo. Si parte da Vetriolo, vicino a Levico Terme, e si prende la strada del Menador che si inerpica sopra il lago di Caldonazzo. Siamo nei percorsi della Prima guerra mondiale in Trentino, sul fronte austro ungarico, e l'obbiettivo è Luserna, nella Magnifica Comunità degli Atipiani Cimbri», una vera e propria civiltà, che si distingue per aver preservato la propria lingua che non è l'italiano né il tedesco né un dialetto trentino. È questo che colpisce nello spirito e nelle parole dei cittadini guidati da un sindaco radioso, Gianni Nicolussi Zaiga, di una delle grandi famiglie cimbre. Perché dove c'è una lingua c'è una nazione. È ciò che si avverte in Sardegna, in Friuli e in alcune piccole comunità come questa che un tempo si estendeva dai monti Lessini nel veronese fino alla Valdastico, nel vicentino, con comuni come Piovene e Arsiero ai confini con Schio e Asiago.
Sono sempre stati una piccola comunità, i cimbri, ma, nonostante lo sterminio di molti nella Prima guerra mondiale, sono rimasti più di mille. Luserna, con il suo palazzo municipale, Camau vo Lusern, è la capitale di questo piccolo Stato. Dopo il grande incendio del 1911 rimangono alcuni edifici, fra i quali l'albergo Tricolore che fronteggia, in perfetto equilibrio, l'altro che porta il nome dell'eroe tedesco Andreas Hofer. Il centro di documentazione, la casa tradizionale Haus Von Bruck, e il museo nella casa di Rheo Martin Pedrazza. Ed è proprio questo artista che, come i testi poetici in lingua cimbra, parla una propria lingua figurativa di cui è notevole testimonianza nelle sale del Centro di documentazione. Gli antichi coloni, provenienti dall'aerea montana compresa tra l'Adige e il Brenta, portarono in questi nuovi territori la propria lingua e le proprie tradizioni (ancora oggi nel paese si tramandano di generazione in generazione alcune leggende cimbre) e per secoli, come tuttora, i loro usi, i costumi, ma in particolare la lingua, interessarono cultori ed esperti delle più diverse materie.
Diversamente da quanto è avvenuto altrove, la lingua cimbra si è mantenuta ancora viva a Luserna, ed è oggetto di approfondite indagini, soprattutto da parte di studiosi tedeschi che possono coltivare qui una sorta di «archeologia linguistica». Nella visita del centro di documentazione colpiscono tradizioni preservate e rigenerate come quella dei merletti a fusella di ispirazione viennese, sostenuti nell'Ottocento a Proves da un prete, Franz Xaver Mitterer.
A Proves, villaggio chiuso nelle montagne, a quasi 1500 metri, dove gli abitanti vivevano in condizioni modeste nei loro masi, con un regime autarchico legato alla produzione agricola, si aggiungeva così l'attività delle donne, nella scuola di Tombolo che produceva merletti per l' Austria. Una storia poetica, oltre che di lavoro, che ha trovato oggi una sua ripresa in una nuova scuola, dal 1996. E tuttora continua, tra anziane e giovani allieve. Arte sofisticata, non popolare, anche se applicata, a testimonianza di una creatività che ha radici in Luserna.
Per quello che riguarda non la produzione creativa collettiva in una scuola, ma la libertà di un artista, è molto eloquente l'opera di Pedrazza, che definisce uno stile proprio, potremo dire cimbro, che è la più alta espressione di una lingua pittorica locale. Nelle sue opere si esprime una condizione psicologica che, discendendo dalla grande tradizione pittorica italiana e da quella tedesca, da Raffaello e Pontormo come da Dürer e Cranach, identifica un'anima e una condizione che è soltanto sua. E lo s'intende bene in Verlorene Heimat (Patria perduta), del 1950, nella quale il rapporto tra i genitori dell'artista e la natura è di profonda nostalgia e malinconia, di Sehnsucht, struggimento per un mondo che resta nell'anima ma di cui non si riconoscono più i confini. Pedrazza, nato nel 1924, resta a Luserna fino ai diciotto anni, quando si trasferisce a Trento per le scuole industriali e poi a Stams in Tirolo. Dopo la guerra studierà all'Accademia di Belle Arti di Vienna, coltivando i miti inevitabili di Klimt, Schiele e Kokoschka. Un altro artista corrisponde alla sua inquietudine, il grande Richard Gerstl, che segna il passaggio dallo Jugendstil all'Espressionismo. Notevole è la sua esperienza nel disegno, che lo rende particolarmente efficace nell'acquaforte. Ai suoi inizi, per esempio in Zia Giulia, è evidente l'influenza dell'Espressionismo, ma in opere come Il corpo posseduto dal suo spirito deve soffrire e Deposizione della croce s'intende la riflessione sulla grande tradizione italiana del Manierismo, in particolare Pontormo, incrociato con Schiele. Ma è molto interessante anche la sua originale riflessione su temi della aeropittura, tra Gerardo Dottori e Tullio Crali, come in Dresda.
Qualcosa avviene, negli anni Settanta e Ottanta, che lo porta a una pittura fortemente intimistica, con ritratti evocativi che perdono la definizione grafica per esprimersi in un cromatismo appannato, di stesura quasi informale, volti evanescenti densi di interiorità, quasi in dissolvenza, con singolari affinità con gli autoritratti dello stesso tempo di Fausto Pirandello. È lo stesso artista a scrivere: «l'aspetto decisivo nella pittura è stato per me il dialogo continuo tra conscio e inconscio, tra conoscenza e sensazione, tra tema e forma. Il tema della mia pittura è l'uomo, non c'era per me altra scelta».
Al culmine di questa originale esperienza, già nel 1982, Pedrazza abbandona la pittura per dedicarsi alla scrittura (credo che sarà analoga l'emozione alla lettura dei suoi testi) e alle meditazioni filosofiche, fra le quali il saggio, perfetto per i tempi, Contemporaneità anacronistica.
Si ritirò poi nel Pedrazzeum a Stams, rielaborando forme e pensieri con materiali poveri e lucide illuminazioni, che definiscono l'anfibia personalità dell'artista cimbro. Muore nel 2010. Ritorna ora a testimoniare per la sua patria ideale e reale, davanti a noi.
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