«Loro urlavano mille Nassirya, ma io ero davvero là»

Ha quasi le lacrime agli occhi il carabiniere: «Continuano a urlarci “Nassirya Nassirya”. Ma io a Nassirya c’ero». Non rispettano i morti e non fanno sconti gli antagonisti quando si tratta di insultare, sicuri che i loro bersagli non possono reagire. Anche perché se qualcuno prova solo ad abbozzare un gesto di stizza arriva un dirigente della Questura che con toni irati ricorda come non si debba «esacerbare gli animi». Quasi gli autonomi abbiano ragione e le forze dell’ordine impediscano di far valere i loro diritti.
E anche sabato al Ticinese durante la manifestazione contro lo sgombero della «Bottiglieria Okkupata» non si è andati tanto per il sottile. I dimostranti si concentrano in Porta Genova per un presidio, poi verso le 17 tentano di uscire per un corteo e vengono bloccati. Partono le solite invettive contro gli uomini in divisa. Non slogan politici come negli anni ’70 per l’uso «strumentale» delle forze dell’ordine «al servizio dei padroni». Ma proprio parolacce, epiteti volgari, pesanti riferimenti sessuali. Uguali nella forma e nei contenuti a quelli degli ultras del calcio, dai quali hanno ormai mutuato stile, abbigliamento e toni.
Durante la solita trattativa per decidere se e come sfilare con Bruno Megale, responsabile della Digos, uno dei capetti degli antagonisti inizia a prendersela con un carabiniere, cui forse sarà sfuggito un «vaffa». Si mette naso contro naso e inizia a vomitargli addosso le peggiori insolenze. Bel coraggio, tanto non può reagire. Come del resto non reagiscono i dirigenti delle Digos a due passi che neppure di sognano di dirgli un generica «Dai, smettila» tanto si conoscono da anni. Si aspetta solo che l’esagitato si calmi. E si prosegue poi così per altre due ore. Tanto non si tratta di esseri umani, con sangue e ossa, sentimenti e passioni. Solo caschi e divisa, con un manganello e uno scudo che si accende e si spegne con un bottone.
Verso le 19 i cinque «resistenti» che avevano passato due notti sui tetti dell’edificio di via Savona 18 per impedire fosse completato lo sgombero, scendono nel tripudio generale. Inizia la seconda trattativa con le forze dell’ordine per decidere percorso e durata della nuova manifestazione. E un gruppetto di ragazzotti vestiti di nero e con i passamontagna sul volto, si mette di traverso alla strada per bloccare un plotone di carabinieri. Esercizio inutile, perché il reparto non si muoverebbe comunque dovendo appunto coprire la coda del corteo. Ad un certo punto gli antagonisti indietreggiano fino ad arrivare a contatto con i militari. La truppa sbuffa, il contatto si prolunga per qualche minuto fino a quando, con un certo ritardo, il dirigente del servizio Raffaele Cavallo se ne accorge. E finalmente decide di intervenire. «Via di lì» grida agli autonomi. Un maresciallo allontana un manifestante spingendolo con lo scudo. Scatenando la reazione degli antagonisti. E il dirigente interviene. Ribaltando il maresciallo. Una lunga urlata, con casco dell’umiliato sottufficiale che oscilla in segno di assenso.

Ma soprattutto sotto lo sguardo divertito degli antagonisti che iniziano a urlare «Cretino, obbedisci». Alla fine proviamo a far coraggio al militare. «Che coraggio e coraggio, hanno anche insultato i nostri morti a Nassirya. E io a Nassirya c’ero».

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