Il Louvre della steppa. Così il ribelle Savitsky salvò le opere proibite nascondendole... in mostra

Inviato dal regime nel remoto Karakalpakstan, creò un museo con i dipinti degli artisti censurati

Il Louvre della steppa. Così il ribelle Savitsky salvò le opere proibite nascondendole... in mostra
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Probabilmente non avete mai sentito parlare di Igor Vitalyevich Savitsky. Non è stupefacente, pochissimi lo conoscono. Eppure il suo nome dovrebbe essere presente in tutti i libri di storia dell'arte del Novecento. È il padre del più incredibile dei musei, realizzato nel più incredibile dei luoghi, ovvero il Museo d'arte di Stato della Repubblica del Karakalpakstan, un luogo che nessuno si sognerebbe nemmeno di cercare su un atlante. Il luogo ideale, quindi, per nascondere in bella vista quello che la dittatura non voleva vedere. Ma andiamo con ordine per capire come e perché, nel bel mezzo della steppa, sono conservati alcuni dei più incredibili quadri dell'astrattismo e del cubismo russo. Tutti quadri strappati, grazie a Savitsky, alla furia distruttrice di Stalin che, nel tentativo di creare quella tabula rasa culturale necessaria al culto della personalità, spediva al gulag e al plotone di esecuzione i molti artisti che non si piegavano allo stile del realismo sovietico.

Invece, incredibilmente, Vitalyevich Savitsky (1915 - 1984), sassolino infilato negli ingranaggi della macchina del potere, riuscì a recuperare molto di quanto non era stato distrutto e a portarlo a Nukus, capitale del Karakalpakstan. Una cospirazione sotto il naso del regime ed usando soldi di stato sovietici. Come ci riuscì? Grazie ad una passione folle, ad una mente lucida e alla capacità di spostarsi sulla rete ferroviaria russa carico di tele e opere passando inosservato, anzi facendosi scambiare per il più eccentrico dei folli. Fu scambiato in diverse occasioni per l'evaso di un manicomio, per un asceta travolto da un'allucinazione... In parte era vero, perché l'ossessione era salvare le opere d'arte di artisti morti nei gulag.

Ma andiamo con ordine, Savitsky nacque a Kiev nell'Impero Russo, proprio quando i valzer degli Zar che coprivano il suono delle frustate sulle schiene dei contadini furono travolti dagli inni rivoluzionari di Lenin, che coprivano il suono delle fucilazioni e della guerra civile. Suo padre, avvocato, aveva radici polacche ed ebraiche. Suo nonno materno, Timofey Florinskij, era un famoso slavista e professore all'Università cittadina, membro corrispondente dell'Accademia Russa delle Scienze, autore di numerosi studi e fondatore di una propria scuola scientifica. Chiaro che la sua famiglia venisse subito sospettata in quanto borghese, durante la Rivoluzione d'Ottobre. Cercarono di occultarsi a Mosca. Savitsky si mise a fare l'elettricista cercando di sembrare il più proletario possibile. Ma il suo cuore era altrove, prese lezioni di disegno dagli artisti moscoviti Ruvim Mazel ed E. Sakhnovskaja. Dal 1934, iniziò a studiare presso il dipartimento di grafica dell'Istituto Poligrafico di Mosca e poi presso la Scuola d'Arte di Mosca. Nel 1938-1941 studiò presso l'Istituto per gli studi avanzati degli artisti, nello studio di Lev Kramarenko, con il quale effettuò viaggi di studio per disegnare in Crimea, Ucraina e Caucaso. Fu così che nel 1950 visitò il Karakalpakstan in una missione archeologica. E divenne poi il direttore del museo di Nukus. Un museo inizialmente pensato per raccogliere l'arte tradizionale del regime. Ma di nascosto andava a procurarsi ben altro. Come quando contattò la vedova del pittore Lev Galperin (1886 - 1938). Galperin si era rifiutato di abbandonare il cubismo, aveva persino ritratto Stalin nudo per dimostrare visivamente che doveva essere considerato un uomo come un altro. Morì fucilato. Dopo essere arrivato a Mosca in treno in ciabatte (aveva un piede ustionato) e con un giradischi portatile (andava acceso ad alto volume ogni volta che si faceva una conversazione compromettente) Savitsky riuscì a farsi consegnare quello che era nascosto nella cantina della donna e oggi è ancora esposto al museo. Per scaricarlo dal treno, una volta tornato in Karakalpakstan dovette farsi aiutare dai passeggeri con un rischio enorme. Ma ce la fece.

Fece incredibilmente lo stesso con le opere di: Vera Mukhina, Kliment Red'ko, Lyubov Popova, Ivan Koudriachov, Vera Pestel, Solomon Nikritin, Georgiy Echeistov e il gruppo Amaravella.

Insomma senza di lui una fetta enorme di arte russa non esisterebbe più.

Una storia incredibile e da romanzo? Infatti ora è diventata un romanzo: Anche se proibito. La folle impresa di Igor V. Savitsky (Bookabook Editore, pagg. 416, euro 19) a firma di Giulio Ravizza. Una narrazione al cardiopalmo che alterna l'alto dell'arte alla miseria della vita sotto la dittatura comunista, l'avventura alla disperazione, i deserti attraversati in treno alla frenesia di Mosca.

In questo senso è perfetta la frase che fa da esergo al volume: «I fatti assurdi di questo romanzo sono veri mentre quelli ordinari sono inventati». Come è meravigliosamente assurdo il museo creato nel nulla dall'«Oskar Schindler» delle avanguardie russe.

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