Lucio e Francesco dalle sette vite

L’uomo allampanato, col cappellino calato in testa, sale sul palco e attacca con l’armonica Over the Rainbow; quello piccolino arriva poco dopo e irrobustisce la melodia con le vibrazioni del suo sax. Inizia così, con un incipit a cavallo tra jazz e canzone d’autore, il nuovo tour di Lucio Dalla e Francesco De Gregori - trent’anni dopo Banana Republic - fino a domenica agli Arcimboldi, con replica giovedì e venerdì prossimo, e poi lungo giro in Italia ed Europa.
Nel mondo della musica le reunion sono all’ordine del giorno e spesso strumentali; si sfrutta il nome, le canzoni di successo, la nostalgia dei fan. Non è questo il caso di Dalla e De Gregori, che insieme rinnovano il loro impeccabile repertorio dalle fondamenta. «Non sarà una Messa cantata», annunica De Gregori: e via, i classici si sviluppano con incredibile inventiva cromatica e un nuovo gusto del racconto. Ad esempio la dolcezza di Buonanotte fiorellino si trasforma in un tonante valzer-rock inframmezzato dal dialogo antifonale tra l’armonica e il sax dei protagonisti. «Tutto scorre», come diceva Eraclito, è il motto sotteso dello show, un inno all’inventiva, alla fantasia, alla voglia di divertirsi. La coppia si divide le canzoni nel vero senso della parola; così sembra strano sentire Francesco cantare una strofa di Nuvolari o Lucio lanciare la sua voce anarchica sui toni di Santa Lucia. Una comunione che non tocca le caratteristiche personali. Dalla è più espansivo, gigione, improvvisatore, jazzman di rango (con gli intermezzi del suo sax La donna cannone diventa una ballata soul da brividi); De Gregori è un folksinger - nato con l’America di Dylan nel cuore - che ha trasformato in poesia la canzone popolare. Prima emoziona con l’introspezione di La leva calcistica della classe ’68, poi fa pensare con Titanic («questo brano l’hanno tirato per la giacchetta da tutte le parti ma io direi che è semplicemente una canzone d’amore per la nostra Italia che all’estero tanto ci invidiano», dice l’autore) e infine fa cantare tutto il teatro con una versione accelerata di Rimmel.
C’è il rock, i suoni folk acustici, il possente tocco sinfonico del Nu Ork Quartet diretto da Beppe D’Onghia. Da questi incroci misteriosi nasce un suono a tutto campo che media violenza e relax. Una tavolozza che non ha confini in brani come Titanic dove si fondono suoni caraibici, country, classici, pop e molto altro ancora; nel rombo tonante di L’agnello di Dio; o nella rotondità e ampiezza melodica di Canzone o L’anno che verrà; nel raccoglimento di Henna che Lucio canta contro la guerra. Il pubblico - si notano Ornella Vanoni, Giorgio Armani, Bobo Craxi, Linus, Paola Turci - è con loro dall’inizio alla fine. Li applaude fragorosamente; l’applauso più lungo e fragoroso va a Rimmel ma è solo un dato di cronaca. Non è una sfida, anche i fan son lì per ascoltarli entrambi, per scoprire come quei due sian riusciti a fermare il tempo facendoci scoprire nuove sfumature anche in 4 marzo ’43. Ecco come far toccare palpabilmente il passato senza nostalgia.

Poi, non bastasse, ci sono i brani nuovi come Gran turismo, o la gigionesca versione di Just a Gigolo (classico interpretato da gente come Nat King Cole, Buster Poindexter o il genio del jazz Thelonius Monk)a tracciare la strada che dall’attualità porta al futuro.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica