L'ULTIMA VERGOGNA: la lista nera dei dispersi è un caos di numeri

Nella confusione dei soccorsi una sola certezza: non si sa quanta gente cercare e quanti siano salvi. E scattano accertamenti pure sul rebus elenchi. Si teme il disastro ecologico: la nave perde carburante

L'ULTIMA VERGOGNA:  la lista nera dei dispersi  è un caos di numeri

La «Schindler's list» della Concordia è l'ultimo oltraggio. L'ennesima vergogna. Con la portaerei del divertimento ammarata sugli scogli, è la farraginosa macchina dei soccorsi a colare a picco. Bisogna ringraziare il bordello tipico italiano se negli abissi della disperazione ora si trova chi è straziato dall'attesa di sapere se rivedrà mai mogli e figli, parenti e amici. Perché se è giusto che la speranza sia l'ultima a morire, è un'aberrazione tenerla invita artificialmente con il casino più assoluto dei numeri, alimentando la fiducia, l'attesa, l'illusione del ritorno.

Negli accertamenti in corso sull'affondamento e sul cortocircuito dei soccorsi, con un mayday che non è mai partito e con una gestione dell'emergenza che peggiore non si poteva, sta emergendo una certezza: non si sa quanta gente cercare, quanta dare per morta, quanta va recuperata per dare comunque al corpo straziato dai flutti una degna sepoltura. Le croci si sprecano nel cimitero marino e sui fogli coi nominativi che passano di mano in mano fra quanti, troppi, si sono occupati del censimento dei dispersi, degli emersi, dei fantasmi. Capire perché ancora non circoli un solo elenco ufficiale degli scomparsi fa cascare le braccia.

L'unità di crisi della Prefettura ne possiede uno che risulterebbe una fotocopia sbagliata di quella di Costa Crociere. E gli altri gruppi che stanno partecipando ai soccorsi hanno pagine ancora di differenti, alcune battuti al pc, altre scarabocchiate a mano o con calligrafie geroglifiche. Assistenti sociali girano con un bloc notes, la Guardia costiera ha più stampate, i vigili del fuoco no, sbirciano ovunque e ovunque si buttano seguendo le istruzioni, non sempre precise.
E poi c'è la Capitaneria di porto, le segnalazioni arrivate alla Provincia, quelli messi insieme dalla Protezione civile con l'aiuto di carabinieri e guardia di finanza. Consolati e ambasciate non è che aiutino poi tanto, anzi. Ognuno si arrabatta con la propria personale lista dei sommersi e dei salvati che, ovviamente, non corrisponde a quelle di altri soccorritori. Così si va avanti controllando e ricontrollando anche le stesse persone, senza però avvisare il resto dell'organizzazione.

Così si è andati avanti per ore e ore scrivendo e cancellando, riscrivendo, aggiungendo, togliendo senza un coordinamento degno di un Paese civile. Al momento la «blacklist» non è aggiornata (anche se nessuno lo confermerà mai) e ciò compromette l'efficacia e l'efficienza delle immersioni di sub senza bussola.

In queste condizioni è facilissimo commettere lo sbaglio di andare a cercare chi è già in salvo, sprecando tempo e soldi, e di credere erroneamente al sicuro chi, al contrario, è rimasto intrappolato nel camposanto galleggiante. E ogni lista-fotocopia non fa che aumentare le possibilità di insuccesso. Proprio sulla base di questi fogli volanti vigili e carabinieri con la muta stanno braccando i desaparecidos della Concordia. Li inseguono col paraocchi, fidandosi di quelche gli viene assicurato via terra, provando a stanarli nelle cabine e nelle zone della nave dove sono stati visti l'ultima volta.
«Finché non mi dicono che fine ha fatto mia moglie, non mi muovo di qui», sbotta un uomo piantato da giorni nella hall dell'hotel Sole, davanti al televisore fisso su Tgcom24, assieme a quel resta dei familiari degli scomparsi. Giura che non si schioderà da quel posto.

Non ci sta capendo più nulla e non vuole rassegnarsi all'idea che la sua sposa non si trovi. «Era lì, dev'essere lì, ma mi dicono che lì dove dovrebbe essere non c'è». Quante versioni diverse l'una dall'altra ha sentito in tre giorni. Ognuno lo rassicura gettandolo, di fatto, nello sconforto. Non sa a chi(e a cosa) credere.
Domenica mattina due giapponesi sono usciti dal limbo dei fantasmi e si sono materializzati davanti agli agenti del commissariato Viminale, a Roma, per riprendersi il passaporto e scappare lontano. Erano morti, a leggere le carte. Nella confusione erano saliti su un bus per la Capitale senza che nessuno se ne accorgesse e chiedesse loro, scusa, dove andate, chi siete, dove eravate. Stessa cosa è accaduta a tantissimi colleghi vacanzieri.

Prendete Elizabeth e Justin Baines e Sarah e Mark Plath, americani, che pur non comparendo tra le 4.191 persone censite a Porto Santo Stefano, sono sani e salvi, nemmeno loro sanno come, ospitati e coccolati in una famiglia dell'isola. E tanti crocieristi, originari della Toscana e del Lazio, appena messo piede sull'isola del Giglio si sono fatti accompagnare a casa dai parenti senza che i soccorritori ne sapessero nulla. Capite perché la schedatura è andata a farsi benedire.

L'altra faccia della medaglia d'oro alla fortuna se la mettono al collo le siciliane Lucia Virzì e Maria Grazia Trecarico: risultano ufficialmente a terra, ma nessuno le ha viste. Irreperibili. Non si trovano. I loro cellulari sono muti come le loro voci. Forse sono scivolate in mare e sono a galleggiar chissà dove, dopo aver accompagnato la figlia di una delle due alla scialuppa di salvataggio insieme al fidanzato. I ragazzi sono arrivati al porto, le donne no.

La «black list» conta, a tutt'oggi, 15 dispersi (11 passeggeri e sei componenti dell'equipaggio), ma il numero vero sarebbe un altro: 23. O forse 29, secondo l’ultima stima della Capitaneria di Porto. Sono calcoli fatti mettendo a confronto gli elenchi dei soccorritori con quello dell'armatore. Ma della tabella consegnata da Costa Crociere c'è poco da fidarsi, poiché c'erano ancora nomi di viaggiatori che probabilmente erano già sbarcati a Civitavecchia, mentre accanto ad altri era scritto «No». L'annotazione negativa ha mandato in tilt il piano degli aiuti, nessuno capiva che diavolo volesse dire. Alla fine dei conti nemmeno delle cifre ufficiali si è sicuri, tanto più dopo l'allarme deprimente lanciato dalla polizia tedesca su dodici nuovi dispersi, di cui nessuno fino a ieri sapeva nulla.

Qui si danno i numeri. Prima si era parlato di 4.234 persone a bordo, poi diventate 4.229: 3.216 passeggeri e 1.013 membri dell'equipaggio di 62 nazionalità diverse. Le generalità degli stranieri potrebbero essere la causa di maldestre trascrizioni o di comunicazioni frettolose incomprensibili ai destinatari delle stesse. Critiche da addetti ai lavori piovono sull'unico punto di accoglienza del censimento. Le identificazioni sono state fatte ovunque, al volo, veloci: sulla banchina, nella chiesa, negli hotel, addirittura in una farmacia, in giro per l'isola. Una scelta folle, che ha moltiplicato gli sforzi e dilatato a dismisura i tempi di intervento.

Alla fine sarà forse Facebook a mettere un po' d'ordine nel casino generale: due giornalisti scampati

alla morte hanno infatti creato sul social network il gruppo «Concordia 13 gennaio» per la segnalazione di persone svanite e lo scambio di informazioni. Di solito non è così che funziona, ma va bene così. E così sia. Amen.

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