Lutto Addio a Nico Orengo, il poeta della leggerezza e dell’innocenza

Nico Orengo se ne è andato in fretta. Non voleva seguitare a vivere ridotto come l’aveva ridotto il male. Se ne è andato in fretta e con quella leggerezza che profilava il suo tratto umano. La leggerezza del poeta e Nico Orengo era un poeta. Si cimentò in altri aspetti dell’attività intellettuale, fu narratore, giornalista e responsabile di Tuttolibri, quando l’inserto culturale della Stampa era all’apice della popolarità e del consenso. In quella veste Orengo detenne per lungo tempo un notevole potere - riferito al villaggio delle patrie lettere, s’intende - che tuttavia gestì con parsimonia. Senza però negarsi le sue stizze che alla fine, quando Tuttolibri affogò nel generalismo e nel relativismo, ridusse a certi folgoranti billets che volle chiamare, appunto, «Fulmini». Il suo universo, il suo orizzonte letterario era volutamente chiuso fra Torino e un fazzoletto di terra ligure di confine che pennellava lo scenario di ogni suo romanzo: la Mortola, Montegrosso Pian Latte, i giardini Hambury, Dolceacqua, le alture che si spingono ai Balzi Rossi: tutto lì il mondo, tutta lì la favola di Nico Orengo.
Cresciuto all’Einaudi di Giulio Einaudi, sembrava destinato a ingrossare le fila degli intellettuali élitari e altezzosi che quella casa editrice allevava. Forse, agli inizi della carriera inalberò pure la spocchia, ma fece presto a disfarsene senza tuttavia rinunciare al registro culturalmente aristocratico che era degli einaudiani. Fu autore prolifico, una trentina di titoli fra poesie e romanzi dei quali si ricordano Collier per Margherita, Ribes, Narcisi d’amore, La curva del Latte, Hotel d'Angleterre e l’ultimo, pubblicato poco prima che la morte lo cogliesse, Islabonita. La sua era una scrittura all’apparenza libera, eppure molto attenta al ritmo musicale delle parole e alla armonia della frase. Anche in prosa, scriveva da poeta e da poeta si lasciava prendere dal comico e dal patetico, dal dolce e dall’amaro di un’esistenza vissuta come nel sogno.
Ebbe in sorte d’essere amato. E chi non arrivò ad amarlo, gli volle bene. Sentimentalmente irrequieto eppure fedele negli affetti lasciò e lascia tuttora buoni ricordi nelle donne che hanno con lui diviso la vita. Qualche giorno fa doveva essere fra amici per festeggiare il quarantesimo compleanno del figlio Simone, un affermato avvocato. Il male glie lo impedì.

Alberta, madre del festeggiato e prima moglie di Nico, ebbe per lui parole di affetto e di malinconica dolcezza non certo dettate dalle circostanze, ma scaturite da un sentimento uscito indenne dalle tribolazioni che la vita riserva. Lo stesso che lascerà a quanti l’hanno conosciuto, ora che con la leggerezza e l’innocenza del poeta Nico Orengo ha raggiunto i pascoli del cielo.

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