Con Maazel formato Napoleone la Toscanini fa tremare New York

L’orchestra italiana seduce con «Pini di Roma» di Respighi e sontuosi duetti con la Philharmonic

da New York

La Simphonica Toscanini termina I pini di Roma di Respighi e la gente del Lincoln Center si alza in piedi. Su, da bravi, fate le vostre obbiezioni. In Italia soprattutto se abbiamo un pelo di cultura ci teniamo tanto, davanti a un successo clamoroso, a far gli scettici e i sospettosi. Certo, quella partitura ha un suo crescendone finale che, a farlo fino in fondo come va, chiama l'urlo dell'utente. Certo, era la sera culminante nell'anno dell'anniversario di Toscanini, c'era un clima d'affetto e di rispetto; e sul podio c'era Lorin Maazel, che quando ci si mette è come Napoleone che si dice giocasse dieci partite a scacchi contemporanee e le vincesse tutte; certo, c'era anche la spinta morale della mitica New York Philharmonic, che ha condiviso per metà il concerto, ed ha mostrato tanta simpatia per l'orchestra italiana da offrire i suoi ottoni, i più squillanti del mondo, per l'effetto aggiunto delle note da fuori; certo, si tratta di un'operazione che è costata molto denaro. Ma resta il fatto che c'è un'orchestra italiana, nata a Roma nel 2006 da una scissione con la Filarmonica della Fondazione Toscanini di Parma, composta in gran parte da giovani, che vive con il capitale privato a cominciare dai grandi sponsor, coinvolge in strenuo impegno un maestro incontentabile, sfida i pericoli d'una serata celebrativa in una città dove sono di casa i più grandi musicisti del mondo, cattura il rispetto dei colleghi più autorevoli e, quanto ai crescendo prescritti, sa anche farli.
E nel mese in cui 50 anni fa morì Toscanini, va in giro con una rosa di 200 musicisti per 14 città importanti degli Stati Uniti, festeggiata. Serata molto americana, disinibita, intensa. La New York Philharmonic suona il Don Giovanni di Strauss, attaccando come se lacerasse una parete di carta che sta fra noi e passando di colpo dalla nostra parte. Esecuzione brillantissima, Maazel attentissimo a mettere in rilievo ogni dettaglio. Poi fuori tutti ed entra la Toscanini. Pini di Roma: estremo tentativo del Novecento di conciliare il linguaggio di tradizione popolare con quello classico nel suo fastoso tramonto, attraverso lo strepitoso virtuosismo di un'orchestra poderosa. Abbandoni e momenti galvanizzanti, tutto bene e sotto controllo, pubblico in festa. Un bis fuori programma: l'intermezzo da Cavalleria Rusticana per festeggiare la bacchetta di Toscanini, che al maestro Maazel era stata consegnata al Metropolitan un'ora prima.
Intervallo, poi discorsi cordiali e spicci, calata d'uno schermo grande, video di Toscanini che dirige la Cavalcata delle Walkirie. Arriva René Pape, senza barbe e manti da basso, è un ragazzone educato e sorridente, accolto sùbito da beniamino: in brani meditativi da Macbeth e Don Carlo di Verdi e nella scintillante «Aria del catalogo» dal Don Giovanni mostra la bellezza vocale e la sua intelligente civiltà. Finale a scoppio: le due orchestre si riuniscono per Francesca da Rimini, di Ciaikovskij. Fusione come se fosse facile, sonorità spettacolose ma senza violenze e senza volgarità, piene nell'acustica giusta della grande sala. Ovazione. La Toscanini è un'orchestra compatta ed equilibrata. Non può naturalmente competere con le orchestre internazionali d'alto bordo nelle vastità del repertorio, essendo nata l'anno scorso, ma ne possiede la mentalità e il metodo. Maazel ne è direttore stabile, Gianni Baratta ne è general manager.

È composta per l'ottanta per cento da italiani, con un contratto professionale senza privilegi d'inamovibilità e protezioni assicurate, che svolgono altre attività per lo più solistiche. Quest'anno, l'orchestra ha già scritture per ottanta concerti. Però sarebbe un grosso errore non tenere conto che la musica per l'Italia non è un vanto o una memoria, ma un compito e un destino.

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