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Macché Coppi e Gino adesso in fuga ci sono Bartali contro Bartali

Tutta sbagliata e tutta da rifare la storia del museo Gino Bartali di Ponte a Ema - città natale del campione toscano - che ha chiuso i battenti qualche giorno fa, per scadenza della concessione dell’immobile e per brutte vicende legali legate agli eredi.
Una storia tutta sbagliata - per dirla alla Bartali -, dolorosa, fatta di rancori e carte bollate. Non c’è accordo tra Enti locatari e l'Associazione che gestiva il museo, proprietaria dei cimeli. In particolare il Comune di Firenze vuole una gara d'appalto, mentre la vedova di Ginettaccio, Adriana Bani e il figlio Andrea hanno intentato contro l'Associazione presieduta dal figlio Luigi una causa di 2,4 milioni di euro per danno d'immagine. «Spero che Gino ci guardi e ci possa aiutare a risolvere tutto, perché ormai siamo una famiglia dilaniata e ne soffriamo molto», ha dichiarato in questi giorni la vedova Bartali a Il Tirreno.
Il museo di uno dei più grandi sportivi di tutti i tempi del nostro Paese, oggi è un cumulo di polvere e scatoloni. Biciclette, maglie, trofei, riviste, cimeli di ogni tipo lasciati lì in quella che doveva essere la casa più bella del corridore che assieme a Fausto Coppi segnò la rinascita di un Paese nell’immediato dopoguerra e oggi, invece, questo spazio altro non è che l’esposizione della tristezza. Già tre anni fa il museo dedicato al campione rischiò la chiusura, ma in quell’occasione fu trovata con non poche difficoltà una soluzione tra gli enti pubblici, i quali non vogliono avere oneri per la gestione.
Inutile è stata la mediazione portata avanti dal figlio Andrea, che tentò un compromesso con Andrea Bresci (colui che di fatto ha avuto l’idea del museo e fino a qualche settimana fa l’ha gestito), cercando di creare un comitato di gestione che comprendesse i rappresentanti dei tre enti e anche un membro della famiglia «ma Bresci, che questo museo avrebbe dovuto gestire, animare e promuovere, ci rispose picche», precisa la signora Bartali.
Insomma, è guerra totale su tutta la linea. È battaglia legale tra chi ha gestito fino a qualche settimana fa il museo e la famiglia Bartali ma non solo, visto e considerato che il Comune di Firenze ha preso le distanze dai vecchi gestori del museo e ha deciso di appoggiare la signora Adriana e il figlio Andrea, proprio perché fanno sapere che non sono per nulla soddisfatti di come è stato gestito fino ad oggi il museo. «Sempre chiuso nei fine settimana, dieci ingressi al mese se andava bene».
A questo punto è necessario voltare pagina, trovare una soluzione a questo contenzioso e rilanciare con un nuovo progetto il museo che ricorda una delle nostre grandi leggende sportive: l’obiettivo è quello di inserire il museo nei circuiti museali internazionali «perché Bartali è Firenze, è l’Italia, è un patrimonio non solo sportivo», dice con orgoglio il figlio Andrea.

«È arrivato il momento di calare il sipario su quello che per me è da sempre un pseudo-museo ­ spiega la signora Adriana -, visto che io non ho mai dato autorizzazione a utilizzare il nome del mio Gino».
Il museo intanto è chiuso e in questa storia italiana tutta sbagliata e tutta da rifare, assistiamo increduli ad una nuova rivalità: non Bartali contro Coppi, ma Bartali contro Bartali. E non è un bel vedere.

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