La madre: «Aveva minacciato più volte di rapire mio figlio»

«Voglio giustizia», dice adesso la mamma di M., il ragazzino ammazzato dal padre mercoledì pomeriggio negli uffici dei servizi sociali a San Donato. Antonella sa che per chi gli ha ucciso il figlio non ci sarà condanna, almeno sulla terra: Mohammed Barakat si è svenato e sventrato dopo avere ammazzato il proprio figlio, ed è morto prima che arrivasse l’ambulanza. Ma per Antonella - una donna che a San Donato conoscono in molti, perché è impegnata nel politico e nel sociale - ci sono altre colpe nella devastante tragedia che l’ha colpita. E sono le colpe di chi non ha saputo raccogliere gli allarmi che lei ha lanciato più volte, per denunciare il rapporto paranoico tra il padre e il ragazzo, per raccontare dei pericoli insiti in quegli incontri.
M. non aveva paura di suo padre. Almeno non ne aveva mercoledì, quando si è presentato - accompagnato dagli assistenti sociali - all’incontro col padre. Era sorridente, allegro. Adesso è all’obitorio di San Donato. I medici legali hanno scoperto sulla sua nuca un piccolo foro di pallottola che l’altra sera, in quel mare di sangue, nessuno aveva notato. Vuol dire che suo padre, per essere sicuro che morisse, oltre a trafiggerlo con le coltellate gli ha sparato in testa con la pistola che portava con sé. La pallottola poi è andata a piantarsi nel muro, tanto che si pensava che fosse andata a vuoto, fin quando i medici non hanno scoperto, nascosto dai capelli, il foro.
M. non aveva paura, ma sua madre sì. Nelle sue denunce, l’ultima di appena pochi giorni fa, non vengono riferite violenze. A spaventare Antonella erano soprattutto le minacce dell’uomo, le sue promesse ripetute di rapire M. e portarselo in patria, in Egitto.
Adesso che nessuno può farci più niente, sarebbe forse facile trarre dalle due denunce per minacce depositate dalla donna la morale che forse qualcosa si poteva fare per non arrivare alla tragedia. Ma è anche vero che di famiglie che si sfasciano ce ne sono tante, e non è raro che i figli si trovino al centro di tensioni anche brutali tra i genitori, e non è facile da fuori attribuire con certezza i torti e le ragioni. M., insomma, era uno dei tanti, nella routine quotidiana di chi per mestiere deve mediare tra i resti di quelle che una volta erano famiglie.
Gli assistenti sociali di San Donato non avevano mai colto, il segno che in Mohammed Barakat l’equilibrio si fosse spezzato. Anche mercoledì, nei primi minuti dell’incontro con il bambino, era sembrato tranquillo. Eppure aveva già deciso e pianificato tutto, nelle tasche del giubbotto portava la pistola e il coltello con cui aveva deciso di vendicarsi nel modo peggiore dell’ingiustizia che credeva di subire. È rimasto tranquillo, per un po’.

Poi ha deciso che era venuto il momento di agire, ed è cambiato di colpo. «Aveva gli occhi del diavolo», raccontano ieri alle agenzie di stampa gli assistenti sociali che erano lì, e che hanno cercato senza riuscirci di impedire che l’orrore si compisse.

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