Il magazziniere che ha «salvato» l’archivio del tribunale

«Avevo passato tutta la vita tra i tessuti. E un anno fa mi sono ritrovato in un altro mondo. Divorzi, processi per omicidio, fallimenti. L’archivio del tribunale di Milano. Chi non ci ha mai messo piede non può immaginarsi neanche. Il primo giorno mi sono detto: ma come faccio a non perdermi? Poi, un po’ per volta, ce l’ho fatta. E adesso che mi tocca restare a casa, da una parte sono contento di avere fatto questa esperienza. Ma dall’altra parte mi chiedo: a cosa è servito imparare a rendermi utile, se poi finisce tutto così?».
Giuliano Musazzi ha cinquantacinque anni, un cognome che più lombardo non si può, un golf celeste e un futuro cupo. É uno dei centoventi lavoratori prestati dalla Provincia al Palazzo di giustizia per tappare i buchi dell’organico, pescandoli nelle liste della cassa integrazione e della mobilità. A fine mese, l’esperienza si chiuderà. Fondi finiti, progetto finito. Lo sapevano dall’inizio, che era un sogno a termine. Ma fino all’ultimo hanno sperato. «E ancora adesso continuiamo a credere che nei venti giorni che mancano qualcosa potrebbe succedere...».
Quando, due anni fa, venne lanciata l’idea, furono in tanti a rispondere all’appello della Provincia: tutta gente sul crinale della mezzaetà, lasciati a casa dalle loro aziende. «Di cassa integrazione - racconta Musazzi - prendevo 850 euro. La Provincia ci offriva la differenza per arrivare fino a livello di un impiegato B2, quasi 1.400 euro. Io ho subito detto di sì. Ma in tanti si sono tirati indietro, dicevano “chi me lo fa fare di alzarmi la mattina, prendere freddo e andare fino a Milano per cinquecento euro?”. In sessanta invece abbiamo detto di sì, poi altri sessanta. E io dal primo giorno sono venuto qui con l’entusiasmo, la voglia di dare l’anima. C’erano decine di migliaia di fascicoli da sistemare. Ma non ci siamo spaventati. E possiamo dire che ce ne andiamo con l’orgoglio di lasciare un archivio in ordine. Ma dopo, cosa succederà?».
Nel mondo non frenetico del tribunale, Musazzi e gli altri hanno portato una ventata di energia: «Venivamo tutti dal mondo dell’impiego privato, e la differenza di approccio si sentiva. Quando i colleghi scendevano a portare i fascicoli ci dicevano: meno male che siete arrivati. E il presidente del tribunale, dopo i primi sei mesi, ci ha detto: non abbiamo mai avuto un gruppo come voi».
Quarantadue chilometri di scaffali. Dodici milioni di fascicoli divisi in 85 materie. I racconti di processi ingialliti dalla memoria, su fogli di carta mangiati dal tempo: perché la norma prevede che i processi penali si conservino per 45 anni, ed il computer è di là da venire. É questo il mondo in cui Musazzi, che faceva il magazziniere in una ditta di tessuti cancellata dalla crisi, si è ritrovato a vivere. Salvo miracoli, quest’anno sarà stato un flash, un lampo di luce nel suo tunnel da disoccupato in mezzo al guado, troppo giovane per la pensione, troppo vecchio per un lavoro. Ieri mattina ha messo via altri centocinquanta fascicoli consegnati da un cancelliere. «Sembra incredibile, ma in quel labirinto c’è un posto preciso per ogni carta.

É organizzato bene, sa, l’archivio centrale del tribunale? Io credo che in tutta Italia non ci sia un archivio così ben messo». Lo dice con orgoglio, perché è un lavoratore fiero di esserlo, e preferisce salire una volta in più in cima ad una scala che dire quelle tre immortabili, terribili paroline: «Non mi compete».

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