Il film già visto delle finte vittime

La magistratura parla di attacchi e offese, ma sono parole già sentite in questi ultimi trenta anni

Il film già visto delle finte vittime
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Nel pieno della bufera sul caso di Arianna Meloni, i magistrati chiedono aiuto a se stessi: dalle colonne di Repubblica il presidente dell'Anm, il sindacato delle toghe, invoca l'intervento del Csm (il loro organo di autogoverno) per essere tutelati dalla «campagna mediatica innescata dall'articolo del Giornale» che getterebbe discredito sulla categoria. Le parole d'ordine sono sempre le stesse usate negli ultimi trent'anni ogni volta che magistratura e politica entrano in rotta di collisione: «È un attacco alla nostra indipendenza», «la Costituzione garantisce la nostra indipendenza», «è un'offesa alla democrazia», eccetera eccetera. L'elenco delle frasi fatte che i leader sindacali delle toghe si tramandano come un breviario un con l'altro è trito e ritrito ma soprattutto senza vergogna. Già, perché ci sarebbe da vergognarsi a non modificare neppure una virgola dei loro comunicati alla luce di quanto, sia pur poco, è venuto a galla dalle acque torbide di quel mondo. L'ultima volta che accadde un caso simile - magistrati indignati per una presunta campagna politico-mediatica ai loro danni che chiedono l'intervento del Csm - correva l'anno 2018, e anche allora era agosto. Matteo Salvini, allora ministro dell'Interno, era stato appena indagato per sequestro di persona per aver bloccato fuori dai porti navi cariche di immigrati. La replica di Salvini fu dura, e l'Anm scese sul piede di guerra per «difendere l'onore della magistratura» con toni e iniziative identiche a quelle di oggi. Due anni dopo, le chat tra magistrati acquisite nell'inchiesta sul caso Palamara svelarono ben altra verità: a spingere la mobilitazione - così sospettano tra di loro le toghe - era la necessità del vice presidente del Csm Giovanni Legnini di ingraziarsi il Pd (dal quale fu poi candidato governatore dell'Abruzzo) e un generale intento di colpire giudiziariamente Salvini. Al punto che ai dubbi di un magistrato, il procuratore di Viterbo Paolo Auriemma, lo stesso Palamara risponde: «Hai ragione ma dobbiamo fare così».

Ecco, loro «devono fare così», ergersi a baluardo della Costituzione e vittime della politica. Ma solo nei comunicati e nelle interviste, perché nel mondo reale è tutta un'altra storia, spesso opposta a quella che raccontano.

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