Magistratura

Dal poeta fannullone all’alcolista manesco. Ecco le toghe che sarebbero state bocciate

I casi passati dalla disciplinare del Csm: chi chiese l’elemosina solidarizzando con una rom, chi diede in escandescenze perché alticcio, chi sparò in Tribunale

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L’epitaffio sulla carriera se l’è composto da solo, dopo aver lasciato la magistratura. «Prima di diventare magistrato - ha raccontato a Luca Fazzo per il Giornale - avevo fatto il concorso per poliziotto. Alla fine mi fecero un test psicoattitudinale e mi dissero: “Ecco, tu il poliziotto non lo puoi fare”. Sarebbe stato bene che me lo avessero fatto anche al concorso per magistrato». Ernesto Anastasio, il giudice poeta, aveva accumulato ritardi spaventosi nella trattazione delle pratiche e il Csm lo aveva dipinto con parole pesantissime: «Un sistematico atteggiamento di assoluta mancanza di laboriosità e disinteresse manifesto verso la legittima aspettativa delle parti ad una risposta di giustizia in tempi ragionevoli».

Un calvario lungo anni e anni. Alla fine, l’anno scorso, la Disciplinare del Csm l’aveva messo in naftalina, sospendendolo dalle funzioni e dallo stipendio e a quel punto è stato lui a gettare la spugna. Il test lo avrebbe probabilmente fermato sulla porta della professione e avrebbe evitato questa giostra affannosa, umiliante per chi attendeva un provvedimento urgente, imbarazzante anche per lui.

Si dirà che parliamo di eccezioni. Infatti, il filtro dovrebbe intercettare proprio quelle persone prive del giusto equilibrio necessario per giudicare. E invece in molti tribunali ci sono toghe, una piccola minoranza si intende, che hanno evidenti problemi nel relazionarsi con gli altri. Ogni tanto i casi affiorano alla Disciplinare, uno specchio dei tic e delle deviazioni delle toghe, e si scoprono storie che paiono inventate di sana pianta tanto sembrano inverosimili.

C’è stata una magistrata arrivata davanti al Csm per essersi inginocchiata sulla strada a fianco di una zingara a chiedere l’elemosina. Quando il collegio, basito, le ha chiesto i motivi di quel comportamento incomprensibile, lei ha farfugliato di aver seguito un impulso di solidarietà verso la rom che l’aveva ispirata.
Può una persona con fragilità così marcate, amministrare la giustizia? Forse, l’avesse incontrata all’inizio uno psicologo, la storia sarebbe andata diversamente.

Stesso discorso per il giudice venuto alle mani con i carabinieri che l’avevano fermato per un controllo. Lui, completamente ubriaco, si era avventato contro i militari, ricoprendoli di insulti degni di uno scaricatore di porto. Si può immaginare una toga schiava dell’alcol? Per i poliziotti i test sono routine: le forze dell’ordine maneggiano le armi, dunque il test può starci. Ma i giudici, affermano i detrattori del decreto, che c’entrano?
Quei che non si dice è che al momento dell’accesso alla professione anche i magistrati ricevono in automatico il porto d’armi.

Certo, sono pochi quelli che si portano dietro la pistola ma per loro non c’è alcuna valutazione. Ragione in più per verificare all’inizio. A Milano qualche vecchio magistrato rievoca un episodio accaduto alla fine degli anni settanta in procura e mai divulgato: dalla pistola di un pm, un tipo strano, partì un colpo che squarciò la sonnacchiosa quiete pomeridiana del Palazzo. Chissà, forse in ufficio successe qualcosa e l’arma cadde a terra.


Anche in quel caso il test avrebbe probabilmente prevenuto qualunque rischio e la tentazione di un giudice pistolero.

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