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Mahindra, gli indiani anti-Tata a un passo dalle moto Malaguti

da Milano

Un altro importante pezzo dell’industria motociclistica italiana sta per cambiare bandiera: Malaguti è a un passo dal gruppo indiano Mahindra&Mahindra. Le trattative per il passaggio di proprietà della casa emiliana, secondo indiscrezioni e nonostante il silenzio della società emiliana, sarebbero ormai agli ultimi dettagli. Dopo la svedese Husqvarna, diventata italiana alla fine degli anni ’80 con l’ingresso nel gruppo Castiglioni e rilevata recentemente dalla Bmw, e la Mv Agusta su cui ha messo le mani la Harley-Davidson, quello di Malaguti sarebbe il terzo colpo consecutivo messo a segno da un’azienda straniera nel nostro Paese. «Posso solo confermare l’interesse di Mahindra&Mahindra per Malaguti», afferma dal quartier generale di Roma, Angelantonio Molfetta, amministratore delegato europeo del gruppo indiano. Si sa solo che Mahindra&Mahindra diventerebbe titolare del marchio nonché delle linee produttive, mentre sarebbero in corso contatti con un manager italiano del settore a cui gli indiani affiderebbero la gestione operativa e il rilancio della «nuova» casa motociclistica di San Lazzaro di Savena.
Nato 75 anni fa come negozio di biciclette, il marchio Malaguti si è via via trasformato passando alla produzione di moto, ma mantenendo sempre la caratteristica di family company, tuttora guidata da Antonino Malaguti. Se l’acquisizione andrà in porto, il gruppo Mahindra&Mahindra aggiungerà alle già numerose attività industriali, anche quella motociclistica: a Malaguti si aggiungerebbero, infatti, la società indiana di veicoli a due ruote Kinetic e l’azienda di design e progettazione, sempre emiliana (la sede è a Castenaso, alle porte di Bologna), Engines Engineering, già finite nel carniere di Mumbai.
Concorrente diretta di Tata, neoproprietaria di Land Rover e Jaguar, anche Mahindra&Mahindra (il gruppo industriale specializzato nella produzione di fuoristrada, pick up e camioncini fattura 6 miliardi di dollari e occupa 50mila addetti) ha dato il via al suo shopping, mettendo l’Italia in cima alla lista. In passato, come conferma l’ad Molfetta, «c’erano stati colloqui sia per la Ducati - e in questo caso sarebbe stata una bella operazione d’immagine - sia per la Lombardini Motori. Abbiamo avvicinato anche Bertone per una collaborazione industriale. Il gruppo è alla ricerca di opportunità e di situazioni che si rivelino vantaggiose per un investimento».
Mollata la presa su Hummer, il brand che produce i grossi fuoristrada messo in vendita dalla General Motors, per rispondere al colpo storico di Tata che si è portato a casa Land Rover e Jaguar, da mesi Mahindra&Mahindra starebbe corteggiando la Chrysler: nel mirino il mitico marchio Jeep. Al contrario di Tata, però, i concorrenti non prevedono di realizzare una vettura del genere Nano, cioè dal prezzo base di 2.500 dollari. «Non siamo interessati al low cost - precisa Molfetta - ma vogliamo continuare con i fuoristrada, i pick-up e i furgoncini leggeri». E se Tata ha come partner occidentale la Fiat, Mahindra&Mahindra ha stretto un’alleanza con i francesi di Renault con cui produce la berlina Logan, venduta in India a 7mila dollari. «Per quanto mi riguarda - conclude Molfetta - ho sempre cercato di dirottare l’attenzione della casa madre sull’Italia, perché nel nostro Paese esiste il meglio a livello di stile e progettazione».

Un invito subito accolto, visto che - Malaguti ed Engines Engineering a parte - nei mesi scorsi anche la bolognese Metalcastello (ingranaggi) e la torinese Grd (componenti per auto) hanno issato sul pennone la bandiera indiana.

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