«La Cina è vicina» non è soltanto un vecchio slogan adattato a una nuova realtà, dall'ammirazione per il Grande Timoniere alla paura dei piccoli commercianti. Può significare anche una diversa concezione dell'uomo e dei suoi rapporti col mondo, come dimostrano la diffusione di filosofie orientali, la pratica di arti marziali e l'interesse per l'Agopuntura e la Fitoterapia cinese da parte di un sempre maggior numero di medici occidentali.
A Milano, per esempio, ci sono alcune delle più note scuole di agopuntura riservate ai medici - che in Italia sono gli unici autorizzati a praticare l'agopuntura - tra le quali la più antica è la So-Wen, che oltre a offrire corsi di specializzazione in agopuntura e in fitoterapia cinese, ha una sede molto ampia in via Legioni Romane 5 dotata di biblioteca, aule e ambulatori. Il dottor Marco Maiola, docente e responsabile didattico della So-Wen di Milano, sottolinea la complementarietà della medicina cinese rispetto a quella occidentale, che resta comunque il punto di partenza e il termine di paragone del medico. «Ecco perché insistiamo sulla necessità che sia un medico a esercitarla, e non, come in Gran Bretagna o in Germania, un semplice esperto. Il problema non è nella pratica terapeutica, dato che chiunque può imparare a mettere gli aghi - prosegue Maiola - ma nella diagnosi: un mal di testa può avere mille cause, comprese alcune molto gravi. Chi ha fatto altro fino a ieri, e oggi si è messo in testa di salvare l'umanità dedicandosi a guarire il prossimo, non può decidere quale rimedio adottare, responsabilità di esclusiva competenza del medico».
Della medesima opinione è il dottor Emilio Minelli, professore a contratto e coordinatore del Corso di Perfezionamento in Agopuntura dell'Università degli Studi di Milano, che insiste sulla definizione di medicine complementari, e non alternative: «Secondo l'ultimo dato Istat disponibile, il numero di pazienti che si sono rivolti all'agopuntura è raddoppiato in quattro anni. Ormai - prosegue Minelli - all'interno del Sistema sanitario nazionale il paziente viene sempre più spesso considerato un numero, a causa della progressiva inadeguatezza della medicina occidentale a cogliere le problematiche personali e soggettive della persona, capacità che invece le medicine complementari hanno conservato e sviluppato. Mentre la medicina occidentale si è orientata soprattutto in senso specialistico, quella complementare, che ha una struttura di base di tipo olistico, usa una molteplicità di punti di vista. Ad esempio, non si può considerare il paziente solo dal punto di vista organico o del disturbo specifico, ma bisogna inquadrarlo in senso più generale, tenendo conto delle sue componenti emozionali e funzionali oltre che di quelle organiche».
Ovviamente, le medicine complementari sono viste piuttosto negativamente dall'industria farmaceutica tradizionale, che si vede ridurre la quota potenziale di mercato. «E questo accade perché - aggiunge Minelli - i sospetti dei pazienti nei confronti dei farmaci sono talvolta più che giustificati dai numerosi casi di intossicazione. Ad esempio, lo scorso anno è scoppiato lo scandalo dei farmaci anti-dolorifici e antiinfiammatori che solo negli Usa hanno causato la morte di ben oltre 33.000 persone. È quindi ovvio che molte persone con problemi di dolori all'apparato muscolo-scheletrico cerchino terapie più sicure».
«Questo non significa però - mette in guardia Maiola - che i prodotti della medicina cinese, oggi venduti senza ricetta, non facciano male: dare, per esempio, del gin-seng alla persona sbagliata può essere dannosissimo. Ecco perché noi facciamo sempre le prescrizioni ai nostri pazienti, anche per prodotti che si potrebbero acquistare in farmacia senza alcuna formalità. Ogni paziente, infatti, è un caso particolare, unico, e va seguito nella sua particolare terapia individuale. Usando una media di una decina di aghi, per esempio, in due casi simili di lombosciatalgia, probabilmente 7/8 aghi saranno gli stessi, ma 2 o 3 saranno personalizzati, e quindi diversi».
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