L'anziana signora era magra, forse troppo magra. Era delicata nei lineamenti e vestita di un'eleganza passata e dignitosa. Il cardigan chiuso con un solo bottone dai fili allungati, i pantaloni grigi di tasmania logora e però stirati. La camicetta rosa pallido con il colletto orlato da bambina il giorno di festa. La signora aveva un sorriso lungo e dolce e imbarazzato quando mi ha detto «mi scusi...». «Scusi perché mi vergogno tanto...», «scusi perché ogni volta faccio finta che non sia vero...», «scusi perché mi sento abbandonata e non arrivo alla fine del mese...», «scusi, avrebbe qualcosa da darmi?». Le ho dato quel poco che avevo, le ho dato una carezza sulla spalla esile, in cambio mi ha regalato un sorriso che era tanto e grande e se n'è andata portando il sacchetto della spesa appena fatta. Avrà avuto dentro due cose. Quelle comprate con il niente di pensione che le restava. Una volta erano drogati, una volta erano barboni, una volta erano artisti alternativi che volevano dormire sotto le stelle padroni di se stessi. Ora sono anche vecchi, sono pensionati senza figli e attenzioni che non ce la fanno proprio.
Quando non riesco a cacciar via un pensiero, un'immagine, so che un viaggio andata e ritorno nel passato mi distrae e rasserena sempre. L'ultima volta era stato un paio di anni fa, incrociando un negozio di oggetti usati accanto a un bosco. Ho pensato, ci ritorno, chissà che non mi liberi dallo sguardo triste di quella donna che mi pulsava dentro. Non mi ha liberato. L'ultima volta mi ero perso fra dischi in vinile, mangiadischi Penny arancioni e gialli, oggetti di un passato da soffitta e traslochi e nonni che non ci sono più e figli ormai cresciuti. Stavolta no. Fra scaffali e vetrinette e appendini ho soprattutto trovato un recente passato fatto di piccole e grandi rinunce quotidiane. C'era il televisore piatto che avrà avuto un anno, c'era la macchina fotografica digitale, c'erano le pellicce e un paio di sci che parevano ancora nuovi.
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