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A Manchester il silenzio vola fino al cielo

Manchester. Settantamila sciarpe tese, centoquarantamila occhi lucidi, cinquant’anni di dolore e un ricordo che non smetterà di bruciare. Nel giorno del derby di Manchester, nel 50° anniversario della tragedia di Monaco in cui persero la vita 8 giocatori dello United e altri 15 passeggeri, l’Inghilterra degli hooligans e dei tackle duri dimostra al mondo uno stile e un cordoglio da brividi. Abituati ai cori beceri di casa nostra, non pareva vero. Gli stessi dirigenti delle due squadre temevano i fischi, tanto da proporre un minuto di applausi. E invece quei pochi minuti prima del fischio d’inizio sono stati di una perfezione abbagliante. I Red Devils entrano in campo con le maglie del 1958. Nessuno sponsor, la leggenda non può essere commercializzata. E infatti queste maglie speciali non verranno messe in vendita. Sulle schiene i numeri grandi e bianchi come la neve, che vanno dall’uno all’undici e annegano nel rosso. Ronaldo, Giggs, Scholes. Tutti accompagnano per mano un bambino. Sulle loro piccole spalle un nome. Uno per ognuno dei «Fiori di Manchester» appassiti mezzo secolo fa. Ferguson ed Eriksson depongono corone di fiori a centrocampo e si abbracciano. Inizia un minuto di silenzio, immobile come i monumenti. Il premier Gordon Brown in tribuna, Bobby Charlton che dietro agli occhiali fumé ripensa ai compagni.

L’incanto sembra spezzarsi con due esplosioni, ma non sono petardi: sono i fucili del corpo d’armata in kilt e cornamusa, che accompagnano i Busby Babes in cielo. Poi si gioca, il City (2-1) vince all’Old Trafford dopo 33 anni. Ma il cuore dello United no, quello non ha perso.

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