Fabrizio Ravoni
da Roma
Vincenzo Visco ha un obiettivo: unificare al 20% le aliquote sulle rendite e sul reddito. In questo modo, la tassazione sulle rendite finanziarie (comè scritto nel programma dellUnione) passerebbe dal 12,5 al 20%. Mentre la prima aliquota sui redditi personali scenderebbe dal 23 al 20%.
Con un particolare. Il maggior gettito derivante dallaumento dellaliquota sulle rendite finanziarie (intorno ai 3 miliardi di euro) dovrebbe finanziare il costo derivante dal taglio del cuneo fiscale, stimato in 5 miliardi di euro. Con la conseguenza che sarebbe tutta da individuare la copertura finanziaria per la riduzione dellaliquota Irpef dal 23 al 20%.
Secondo Maurizio Leo, membro della commissione Finanze della Camera per Alleanza nazionale e fino al 2001 alto funzionario del ministero delle Finanze, la riduzione dellaliquota Irpef dal 23 al 20% «avrebbe un costo compreso fra 1,5-2 miliardi di euro». Attualmente la prima aliquota Irpef viene applicata sui redditi del primo scaglione Irpef, fra zero e 26 mila euro di reddito. In questa fascia è concentrato l84% dei contribuenti, pari a circa 34 milioni di italiani.
Il beneficio, quindi, sarebbe ampiamente generalizzato. Forse troppo generalizzato, considerato che in questa fascia di reddito compaiono anche quelle categorie che nei giorni scorsi sono stati indicati quali «potenziali evasori». Con il paradosso che lo sconto fiscale riguarderebbe contribuenti onesti e altri che onesti non possono dirsi.
Con labbattimento della prima aliquota Irpef - secondo Visco - verrebbe inoltre ristabilita quella progressività fiscale che sarebbe stata danneggiata dallintroduzione del secondo modulo della riforma Irpef, varato dal precedente governo. In realtà, la progressività fiscale del secondo modulo era data dal meccanismo di deduzioni applicato in base al numero dei figli, alla presenza di badanti, alle condizioni economiche di un nucleo familiare. Meccanismo che elevava fortemente il tetto della no tax area. «Lobiettivo del governo - commenta Leo - è quello di fare piazza pulita del secondo modulo della riforma fiscale». Non è un mistero che Visco non condivida quel secondo modulo. Mentre al momento nessun esponente del governo si esprime sul meccanismo delle deduzioni fiscali introdotte proprio da quel secondo modulo.
In compenso, il viceministro osserva che «merita attenzione» il problema legato al comportamento fiscale della popolazione con redditi molto bassi. Una fascia di contribuenti definita «incapienti». Per costoro Visco pensa a meccanismi di credito dimposta legato al reddito o al numero dei figli, ma riconosce che «il problema sono le risorse».
Secondo i dati ufficiali relativi alle dichiarazioni dei redditi del 2004 (che prendono in considerazione lanno dimposta 2003), i cosiddetti «incapienti» ammontano a 362mila persone. Ovviamente sono di più. Ma questo è il numero fotografato dallamministrazione finanziaria fra chi dichiara reddito zero o addirittura negativo.
Il problema non è certo emerso oggi, occupa dibattiti accademici da almeno 20 anni. Se finora non è stata trovata una soluzione è perché i cosiddetti «incapienti» sono difficili da individuare e selezionare. A costoro, infatti, dovrebbe poi essere «girato» un sussidio pubblico, attualmente non previsto dal nostro ordinamento.
Il primo a porsi il problema degli «incapienti» da un punto di vista tecnico fu Paolo Onofri che, con il precedente governo Prodi, guidava una commissione di studio sulla riforma dellassistenza e previdenza. I risultati di quella commissione non vennero mai applicati. Eppure prevedeva, nellambito della riforma degli ammortizzatori sociali, sussidi per chi era disoccupato e per chi era incapiente da un punto di vista fiscale.
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