Mantovano: «Il Viminale dica quanti predicatori ha espulso»

da Roma

Il monitoraggio dei finanziamenti per le moschee va benissimo, ma ci vuole molto di più, anche sul piano della prevenzione e repressione del terrorismo internazionale e contro la predicazione dell’odio e della violenza. Il senatore di An Alfredo Mantovano, ex sottosegretario all'Interno, chiede al ministro Giuliano Amato di riferire in Parlamento che cosa si è fatto su questo piano negli 8 mesi di governo Prodi.
Qual è il suo giudizio sulla proposta del Viminale?
«Non dubito che oggi i servizi segreti e le forze dell’ordine facciano la loro parte, ma vedo una grande incertezza sul piano politico. Amato parla di monitoraggio sui fondi ed è importantissimo, ma si tratta di una fotografia dell’esistente. Ci dica che cosa s’intende fare, poi, se si scopre che viene utilizzato denaro di provenienza illecita o se una parte serve a finanziare attività illegali. E nella sua proposta manca del tutto l’attenzione per l’attività di predicazione della violenza, di diffusione di materiale eversivo e di reclutamento di terroristi».
Che differenza nota con l’esecutivo di centrodestra?
«Nel luglio 2005 il decreto Pisanu introdusse nuove norme per punire appunto chi fa apologia di terrorismo internazionale e recluta nuovi affiliati, prevedendo l'espulsione dei soggetti possibili fonti di rischi per la sicurezza del Paese. Al ministro dell’Interno sono stati allora conferiti particolari poteri, ma da quando Amato è al Viminale il Parlamento non ha mai avuto una sua informativa sulle intenzioni e sulle iniziative del governo in questa direzione, anche se c’è l’obbligo specifico di farlo. Insomma, il ministro dopo le parole dovrebbe portarci i fatti. Vorrei sapere quanti predicatori e diffusori di violenza sono stati espulsi, in base a quel decreto. In questi casi non si tratta di “monitorare”, ma di difendere la sicurezza nazionale».
Si riferisce a situazioni particolari?
«A Cles (Trento) circola nelle ultime settimane un dvd che esalta la jihad; a Napoli, dove dai primi anni ’90 c’è una preoccupante presenza di un gruppo armato di jihadisti algerini, continua l’attività di falsificazione di documenti che servono a terroristi qui e all’estero; all’ombra di moschee come quelle di Padova e di Torino esistono gruppi che richiamano all’applicazione integrale della sharia e alla lotta contro gli infedeli, che saremmo poi noi. Di fronte a tutto questo il ministro ha qualcosa da dire?».
Ma lei ammette che anche indagare sui fondi per le comunità islamiche è importante.
«Sì. Ma una cosa è se emerge un autofinanziamento da parte dei fedeli o fondi provenienti da Paesi come l’Arabia Saudita, che rende pubbliche le somme destinate a moschee, ad esempio quella di Roma.

Altra cosa è se il finanziamento avviene con denaro illecito o con contributi non dei fedeli ma di realtà differenti, come per il milione di euro della Fondazione MPS per costruire la moschea a Colle di Val d'Elsa. In questo caso bisogna intervenire e contrastare, non basta fotografare».

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