L’Atlante storico della letteratura italiana è un’opera imponente. Incute quasi soggezione, basti dire che il primo volume, Dalle origini al Rinascimento, appena uscito per Einaudi conta 860 pagine (a cura di Amedeo De Vincentiis) e il contributo di decine di studiosi. Quando però lo si legge la monumentalità, che spesso fa rima con noia, lascia spazio a un’impressione di freschezza. Tra tavole chiarissime e interventi testuali sempre orientati all’esempio concreto e alla brevità, si ha l’impressione di trovarsi di fronte a una letteratura altra. Diversa da quella che tutti abbiamo studiato su manuali più o meno buoni. Ne abbiamo parlato con Gabriele Pedullà, storico della Letteratura che insegna all’università Roma tre. Insieme allo storico Sergio Luzzatto, infatti, è il curatore dell’intera opera.
Professor Pedullà come è nata l’idea di un atlante geografico per la Letteratura italiana?
«Sergio Luzzatto è uno storico e io sono un letterato, ma cinque anni fa ci siamo resi conto di condividere una serie di interrogativi. In particolare, ci siamo scoperti affascinati dal moto sussultorio dei fenomeni storici e artistici, che alternano lunghe fasi di stasi a periodi di improvviso rinnovamento. Sentivamo che una storia della nostra civiltà letteraria avrebbe dovuto saper tenere assieme queste due prospettive tanto diverse, e lentamente siamo arrivati al format dell’Atlante, che alterna saggi molto narrativi, incentrati su alcuni eventi chiave della nostra letteratura (un incontro tra due poeti, l’apertura di un teatro, il regalo di un libro, un funerale, un matrimonio...) ad altri saggi, di natura più quantitativa, dove, con l’ausilio della cartografia, analizziamo la lenta evoluzione di un particolare fenomeno (il diffondersi della stampa, il censimento dei letterati morti per la Peste nera, il peso della censura...)».
Una tematizzazione geografica è antagonista a quella che potremmo definire una visione storicista, in senso gramsciano (o crociano) della storia letteraria?
«L’Atlante non rinuncia al tempo per lo spazio, come per vent’anni hanno fatto lo strutturalismo e la semiotica. Piuttosto abbiamo cercato di vedere in che modo si presentano una serie di fenomeni che credevamo di conoscere bene una volta collocati su una carta geografica. Una delle esperienze più belle è stata lo stupore di molti dei nostri collaboratori quando i dati che loro stessi ci avevano fornito si sono tradotti in immagini: alcuni hanno persino dovuto riscrivere il loro commento perché la mappa mostrava delle tendenze di cui non si erano accorti sino ad allora. Quanto a Gramsci e a Croce, è ovvio che il nostro non è lo storicismo della tradizione hegeliana (De Sanctis compreso): uno storicismo che si fondava sulla pretesa di sapere dove la storia stava andando, e per questo poteva condannare o assolvere a seconda della posizione che le opere e gli autori occupavano nel percorso dello Spirito Assoluto. Volutamente, nel nostro Atlante, le posizioni sono molto più incerte: i nostri autori attraversano il loro tempo bendati».
Cosa impariamo di nuovo se guardiamo la letteratura italiana attraverso uno strumento pensato, prevalentemente, per ancorarla al suolo?
«Anticipando i risultati del secondo e del terzo volume (che usciranno nei prossimi dodici mesi), sulla lunga durata il dato macroscopico più sorprendente è la sostanziale assenza del Sud al di sotto di Napoli. Gran parte delle nostre piantine sono tagliate alla Campania perché da lì non c’era un singolo punto da collocare: a suo modo una fotografia del secolare divario che divide in due il nostro paese. Questo naturalmente non vuol dire che non sia esistita una grande cultura meridionale, ma solo che, fino a tempi molto recenti, i letterati meridionali convergevano quasi tutti verso un’unica calamita: Napoli appunto. Peraltro bisogna tener presente che, in una prospettiva europea, l’eccezione risulta piuttosto il centro-nord italiano, caratterizzato da un precoce tasso di urbanizzazione unico in tutto il continente...».
Sfogliando l’Atlante e utilizzando l’apparato di piantine ci si focalizza molto, più che utilizzando un manuale, sull’importanza dei centri culturali. Viene quasi l’idea che si possa parlare di diverse letterature italiane...
«Il senso di una specifica identità letteraria italiana si è precocemente fondato sulla comunanza linguistica e sulla convinzione degli autori di essere i soli veri discendenti della romanità. Allo stesso tempo, però, nel corso dei secoli centri diversi si sono alternati alla guida delle patrie lettere: ed è precisamente questa staffetta che noi abbiamo voluto evidenziare».
L’Atlante scombina anche la classica parata di maestri e capolavori...
«Di sicuro abbiamo proposto un’idea molto inclusiva di letteratura: non solo i capolavori della poesia e della prosa, ma le scritture dei giuristi, la lingua della medicina e della filosofia, l’italiano parlato accanto a quello scritto, i dialetti e le culture delle minoranze... Il risultato principale di questo approccio è che la letteratura appare anche dove meno saremmo portati a cercarla».
Anche i nomi degli autori citati si differenziano da quelli di un manuale tradizionale. Insomma, senza l’Atlante uno poteva non accorgersi dell’importanza di un Serafino Aquilano.
«Nell’Atlante non mancano ovviamente i grandi e i grandissimi. Ma accanto a loro abbiamo voluto far emergere una serie di figure meno scontate, che ci aiutano a mettere a fuoco un problema cruciale meglio di tanti autori più celebri: i quali spesso, a causa della loro eccezionalità, rischiano di darci un’idea distorta di una stagione letteraria. Proprio questa scelta di partire a volte da personaggi relativamente oscuri ci permette però di fare nuova luce sui maggiori: solo quando abbiamo sondato l’incredibile successo del dimenticato Serafino Aquilano possiamo valutare appieno la profondità (e la rapidità) della rivoluzione stilistica attuata dal petrarchismo di Pietro Bembo. Osservare i fenomeni “dal basso” e “ad alzo zero”, senza le generalizzazioni dell’hegelismo letterario, ha inoltre anche il grande vantaggio di dare concretezza alla narrazione».
Che difficoltà avete incontrato nel realizzare un Atlante di questo tipo?
«Tantissime. Salvo alcuni saggi pionieristici di Franco Moretti, non avevamo modelli a cui rifarci, e nella resa grafica ci siamo dovuti inventare quasi tutto da zero, provando e riprovando».
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