«Margarita e il Gallo» al Manzoni Magiche storie di servette e nobili

Maria Amelia Monti e Gianfelice Imparato fiabeschi nella ricostruzione di una Firenze rinascimentale

Viviana Persiani

In un'epoca malata di volgarità, governata dalla violenza delle immagini, Edoardo Erba ha voluto catapultare il pubblico in un'altra dimensione, pura e nitida, collocando una simpatica vicenda in un mondo fiabesco e di valori reali e concreti.
Margarita e il Gallo, in scena al Teatro Manzoni per mano di Ugo Chiti, con l'interpretazione di Maria Amelia Monti e Gianfelice Imparato, è ultimo lavoro del drammaturgo pavese considerato «uno dei talenti più brillanti della sua generazione».
«Firmando la regia di questo spettacolo - racconta Chiti - sono andato in controtendenza dimostrando che esiste ancora un teatro vitale. Compiendo un'operazione di assoluta fedeltà, ho conservato la leggerezza originaria del testo seguendo quell'andamento musicale che lo contraddistingue; senza distorcerne la forma, ho rispettato le regole e la trasparenza del gioco di Erba, entrando nel fitto intreccio di parole e di allusioni privilegiando il lavoro sugli attori, uniti da una forte intesa».
Ambientata nel '500, la vicenda prende il via quando il fiorentino Annibale Guenzi, ambisce a diventare tipografo di corte. Tutto ha un prezzo e il Visconte Morello, potendo intercedere per lui, chiede, in cambio del favore, di poter giacere con la moglie Bianca. Ma la proposta, si fa più indecente quando, si comprende che il nobile uomo ha una grande passione per la parte a tergo. Le cose si complicano quando Bianca è costretta ad allontanarsi. Ecco che il suo posto viene preso dalla serva Margarita, una donzella estroversa e bizzarra, ingenua, ma non stupida che riesce, attraverso la sua intelligenza e i suoi sentimenti a risolvere l'intrigo.
È Maria Amelia Monti, moglie dell'autore, a rivestire il ruolo dell'incandescente Margarita, colei che fa trionfare l'amore a scapito della prepotenza del potere. «Il pubblico non deve lasciarsi influenzare dagli abiti di scena; si tratta di una commedia in costume, ma non per questo si tratta di uno spettacolo barboso; leggerezza e ironia trionfano a suon di risate. Tuttavia non siamo di fronte a un lavoro banale, statico e nemmeno prevedibile. Alla fine della vicenda viene smentita la convinzione, diffusa nel Cinquecento, che le donne non avessero l'anima. Inoltre, la mia simpatia è accentuata dal mio linguaggio, un gramelot milanese, ben distante dal dialetto della città meneghina, ma che per assonanze e cadenze è riconducibile a questo tipo di lingua; un codice, tuttavia, comprensibile da chiunque».
L'ambizioso tipografo fiorentino è interpretato da Gianfelice Imparato: «È un testo delizioso che tratta di argomenti attuali circondati dalla cornice suggestiva dl Cinquecento, scritto con garbo ed eleganza, privo di volgarità e di banalità: il mio personaggio, che ordisce per ambizione un piano ardito, resta vittima della sua stessa ambizione».
La produzione di Margarita e il Gallo, portata a termine dal Teatro Stabile di Firenze nella persona di Roberto Toni si presenta come un lavoro nel quale il regista Chiti ha affondato l'arma della sua arte sia di regista, sia di drammaturgo, nonché di regista.


«Sono riuscito a fare emergere quell'equilibrio insito nella scrittura di Erba dove il personaggio femminile di Margarita, come nella Commedia dell'Arte, agisce in diretta, pensa e si mette in azione, come la maschera. Anche gli altri personaggi sono portatori di quei caratteri e di quei vizi che riemergono grazie all'incontro con Margarita».

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