Maria Callas, viaggio attorno al mito

«Sono pieno di vitalità. Passati i 60 anni ho capito che la qualità del pensiero dipende dall’età. Ora mi è tutto più chiaro sulla politica, le persone, le idee. Ho un altro approccio alla vita e lo dimostra l’ultimo album Di rabbia e di stelle. Sono arrabbiato come sempre ma non è la rabbia degli operai degli anni Sessanta, è la rabbia dello sconforto: che si supera convincendoci che possiamo salvarci in tanti modi. Io lo faccio attraverso le canzoni e in concerti». Dopo un tremendo periodo fisico e psicologico Roberto Vecchioni rinasce con il realismo e l’eleganza del suo canta-pensiero, ed è di nuovo in tournèe: debutto lunedì scorso a Torino con un doveroso tutto esaurito e replica domani allo Smeraldo, dove tornerà il 26 marzo.
Vecchioni ma non si stufa mai di stare sul palco?
«No, anzi, ora mi sento come un bambino. Il concerto è sempre più bello, c’è quella che io chiamo saggezza del canto; so quando lasciarmi andare, colgo al volo le sensazioni del pubblico, capisco che stiamo celebrando qualcosa di bello».
Una piccola magia.
«La canzone rispetto alle altre arti ha un vantaggio: l’immediatezza, arriva subito e crea miracoli di suggestione».
Ma con le sue canzoni non sbaglia mai un colpo...
«Prendo come spunto i piccoli segnali che sento dentro di me e più l’emozione interna è forte più la racconto meglio in musica. C’è un patto di affinità elettiva tra me e il pubblico».
Un pubblico trasversale.
«Ai miei spettacoli ci sono tantissimi giovani, il che prova che i ragazzi non sono così rincoglioniti come li dipinge la pubblicità».
Come vive il suo repertorio? Tra i brani storici e quelli nuovi c’è continuità, sono sempre attuali?
«Penso che le mie siano storie senza tempo perché cantano l’uomo e i sentimenti. Certo alcune hanno una caratterizzazione storica ma sono tutte parti importanti del mio percorso».
Il concerto milanese come sarà?
«Tre ore di musica. Ci saranno molti pezzi tratti da Di rabbia e di stelle e un viaggio a ritroso nel mio repertorio più noto. Attraverso il mio sito sto molto attento a ciò che vogliono i fan nel formare la scaletta. Poi avrò ospite Teresa De Sio con cui canterò Il violinista sul tetto, un brano che ho scritto in stile folk, tipo Giovanna Marini».
E poi torna il 26 marzo...
«Ho voluto tenere gli show distanti tra loro, perché un concerto nella mia città mi provoca sempre sensazioni da centellinare».
Oggi siamo in piena celebrazione del ’68, il suo ricordo?
«È stato un movimento eccezionale nato in America e poi in Francia. Noi siamo arrivati dopo. L’Italia è arrivata prima di tutti solo con il Futurismo, per il resto si è sempre accodata. Comunque in breve il ’68 è stato un grande movimento di idee e libertà che ha avuto anche la sua involuzione dannosa. Del resto è inevitabile una degenerazione nelle grandi rivoluzioni, anche in quelle molto più importanti come quella francese e russa. Credo che per parlare con chiarezza del ’68 debbano passare ancora molti anni. Solo oggi si comincia a capire davvero la guerra e la Resitenza...».


C’è qualcosa di particolare che le piacerebbe sperimentare?
«La mia vita è la canzone, quei 3 o 4 minuti in cui racconto qualcosa di universale, magari sotto forma di parabola. Però sto lavorando anche a un nuovo romanzo»:

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