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Martins tiene l’Inter al passo della Juve

(...) la serata, in attesa di vedere la faccia della Juve e forse del suo campionato. Una volta la gente nerazzurra teneva tutti a cuore sospeso per le distrazioni difensive, ora per l’incapacità a realizzare quelle vagonate di occasioni prodotte davanti al portiere avversario.
Trovata, e schierata, la formazione base, l’Inter ha, infatti, dimostrato subito che la fiducia di Mancini era destinata a buon fine. Partenza da squadra sicura di sé e del proprio obiettivo: gente fisicamente frizzante, ognuno padrone del ruolo, si trattasse di Figo o Veron, dello Stankovic zingaro di fascia o di Cambiasso gran regista del chiuder correnti pericolose. La Fiorentina è stata comparsa o poco più dopo aver subito il primo brivido nel giro di un minuto: penetrazione di Jorgensen e salvataggio di Materazzi. Difficile tradire il proprio Dna, ma dopo il colpo al cuore, la gente di Mancini ha fatto partire la rumba calcistica che, per almeno mezz’ora, ha messo la Fiorentina spalle al muro e si salvi chi può.
O quasi. Martins ha dato segnali incoraggianti circa la sua vena, infilandosi nelle praterie lasciate a disposizione dai centrocampisti viola ed ha cominciato a batter ogni pista che lo portasse al gol. Frey ha messo la sua firma al primo tentativo (testa di Martins e deviazione del portiere), ma nulla ha potuto sulla seconda occasione. L’Inter ha alzato il ritmo, il suo gioco si è fatto veloce e quasi frenetico, Adriano rientrando da posizione di fuorigioco ha lanciato Figo a destra: palla in mezzo per Martins e gol. Con tanto di cappello alla bellezza dell’azione congegnata da talento e piedi buoni.
Poteva esser l’inizio di una bella scampagnata nerazzurra nelle campagne fiorentine, ma così non è stato. L’Inter ha sventolato gran gioco, belle combinazioni, ognuno ha avuto l’occasione per il gol. I centrocampisti hanno lavorato con palle lunghe e precise, veloci nello smistare gioco, precisi nell’indirizzare la palla. Adriano spesso e volentieri ha lavorato sulla linea dei centrocampisti, quasi volesse abituarsi al gioco del Brasile, o preferisse tenersi lontano dall’area: ha svariato, cercato gli assist e di tanto in tanto il tiro (mira sballata) al gol. Ma hanno sbagliato un po’ tutti (Adriano, Stankovic, Martins), e Frey ha continuato a fare il muro di gomma andando a respingere palloni che avevano la faccia del gol, la Fiorentina ha raccontato di sé soprattutto i limiti, più che le bontà. Difesa larga ed in affanno, centrocampo di lavoratori più che di predicatori raffinati. Bojinov e Toni, di tanto in tanto, hanno rapinato qualche pallone e messo un po’ di pressione sulla difesa interista, ma Julio Cesar per due volte (l’ultima alla conclusione del primo tempo) ha dimostrato che l’Inter ha fatto bene a puntare su di lui: parate decisive ed essenziali hanno dimostrato la bontà sua e smontato chi ancora avesse nostalgia di Frey.
Ed, allora, ancora una volta, in tutto questo sfavillare di proposte nerazzurre l’unico neo è tornato ad esser quello già affiorato contro il Chievo: tante occasioni, ma gol col contagocce. E non certo per mancanza d’occasioni, piuttosto per cattiva mira, scarsa fortuna (Samuel ha preso la traversa, Materazzi un palo) o per bravura del portiere avversario. Una partita che poteva registrare cinque-sei gol si è trascinata fino in fondo, perchè la ripresa non è stata tanto diversa: Julio Cesar ha provveduto a toglier speranze a Toni (servito da Jorgensen) con il solito intervento a presa rapida, Stankovic e Martins hanno continuato a provare conclusioni e sbagliarle. Perfino Figo non si è negato la conclusione che poteva metter San Siro ai suoi piedi: azione solitaria, triangolo con Martins e conclusione sul portiere. Un vero spreco. Ma di classe.

Beato chi se lo può permettere.

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