Maternità dopo il tumore: le nuove frontiere della scienza

Linee di comportamento in tema di preservazione della fertilità in caso di patologie tumorali sia nella donna che nell’uomo

di Franca Iannici

La scienza ha fatto un altro passo avanti nel campo della medicina oncologica con tecniche che consentono ai pazienti affetti da patologie tumorali, che non riguardano l’apparato riproduttivo, di procreare nonostante la somministrazione di terapie particolarmente invasive. Grazie alle campagne di sensibilizzazione sulla prevenzione arrivano dati confortanti dalla Banca dei Tumori che indicano in Italia una riduzione della mortalità nelle donne fra i 15 e i 44 anni affette da qualsiasi patologia tumorale di natura maligna dal 27,81% al 14% dal 1970 al 2009, con una stima del 12,63% per il 2010. L’attenzione dei medici si è spostata dunque verso l’obiettivo di migliorare la qualità di vita futura dei pazienti che vogliono diventare genitori intervenendo tempestivamente prima dell’inizio delle cure e informando con molta attenzione il paziente della possibilità di preservare la sua fertilità in collaborazione con un esperto di procreazione assistita. Naturalmente il problema non si presenta per la conservazione del liquido seminale mentre per la crioconservazione dei gameti femminili la situazione è più complessa perchè bisogna attenersi a precisi cicli di ovulazione. Come è noto la radioterapia e la chemioterapia, le cure specifiche utilizzate per il trattamento delle neoplasie, “portano a uno stato di sterilità irreversibile provocando nelle ovaie la perdita del patrimonio follicolare e di conseguenza una menopausa forzata alle pazienti”, spiega il presidente della Società di conservazione della fertilità ProFert Andrea Borini. Perciò è importante poter conservare ovociti o parti di tessuto ovarico da utilizzare dopo la guarigione dal tumore. Ma quali sono le tecniche di crioconservazione più efficaci? Quando esistono i margini di tempo per sottoporre la paziente a cicli di ovulazione si procede alla crioconservazione degli ovociti preferendo la tecnica di vetrificazione perchè, a differenza del congelamento (slow freezing), consente di mantenere le stesse caratteristiche cristallizzando le molecole. In caso di urgenza si può procedere alla crioconservazione di frammenti ovarici con minimo preavviso, evitando così di dover posticipare qualsiasi tipo di terapia oncologica. L’intervento, della durata di 15/20 minuti in laparoscopia, ha una bassissima percentuale di complicazioni intra e post-operatorie ed è applicabile anche nel caso di pazienti in età pediatrica. Questa soluzione, peraltro, non presuppone alcuna stimolazione ormonale dell'ovaio e da una biopsia ovarica è possibile ottenere centinaia di follicoli primordiali contenenti ovociti immaturi, risultati molto resistenti ai processi di congelamento e scongelamento. Dopo il ciclo di terapie il trapianto di tessuto ovarico decongelato sulle ovaia rimaste in sede, ma incapaci di ovulazione, può portare a un ripristino della normale funzione ovarica secondo le sequenza ovulazione-mestruazioni-gravidanza spontanea. Con questi interventi oggi nel mondo sono nati più di mille bambini da ovociti congelati e tredici da tessuto ovarico.

Tuttavia il motivo per cui si sono ottenute poche gravidanze con il trapianto del tessuto ovarico riguarda le metodiche di congelamento e quindi di mantenimento della vitalità e sostanzialmente dal fatto che devono normalmente passare cinque anni prima di considerare guarita la paziente e procedere quindi all’impianto.

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