Maxxi Rehberger fa luce sul nuovo museo

Era il 1998 quando la Soprintendenza Speciale Arte Contemporanea, su incarico dell’allora Ministro dei Beni Culturali, indisse un concorso per la realizzazione di un polo nazionale espositivo dedicato all’arte e all’architettura contemporanea. Zaha Hadid, architetto e designer irachena, naturalizzata britannica, vinse il bando. Da allora sono passati più di dieci anni, caratterizzati da grandi progetti, grandi entusiasmi, ma spesso da pochi soldi. Eppure, nonostante tutto, il Maxxi fra pochi mesi inaugurerà con una grande mostra, si fa il nome di Gino De Dominicis, portando una ventata di novità nella capitale. L’elemento che ha giocato a favore di questo nuovo museo, e che ha fatto sì che l’attenzione, anno dopo anno, non scemasse mai, viene soprattutto da una serie di eventi e mostre che hanno mantenuto viva la programmazione. Ultimo di questi un progetto site specific di Tobias Rehberger, vincitore del Leone d’Oro alla Biennale di Venezia ancora in corso. Il lavoro dell’artista tedesco a un occhio superficiale rimane quasi impercettibile. Sarà stata forse la paura di investire troppo la struttura, o sarà stata anche una scelta predeterminata, il lavoro rimane marginale rispetto alla colossale architettura. Eppure nella sua marginalità riesce a integrarsi perfettamente al nucleo museale. La visione dell’opera di Rehberger è possibile solo dall’esterno, dalla parte di Via masaccio, e solo di sera, funzionale al fatto che il museo ancora non è aperto ma anche perché il ciclo di mostre che preannunciano la riapertura hanno per tema la luce. E quindi questo lavoro vive di dignità e di presenza scenica solo nel buio della sera. L’artista ha voluto qui rendere omaggio all’Italia.

Una luce,proveniente dalla zone aggettante della costruzione, che cambia colore, intensità, vivacità e che altro non è se non una trasposizione in impulsi luminosi di scene di film di Sergio Leone. Un omaggio al cinema italiano, ma probabilmente ancora di più allo spettatore, che deve abbandonare le briglie della propria immaginazione.

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