È uno dei monumenti più importanti ma anche più maltrattati di Milano. Quello a Giuseppe Mazzini, genovese, apostolo del Risorgimento italiano, fondatore della Giovine Italia prima e della Giovine Europa poi, nonché ispiratore di tutti i moti insurrezionali contro la tirannide che precedettero il 1848, non poteva che essere posto in piazza della Repubblica. È lì dal 1° giugno 1974 a offrire ai passanti un percorso lungo 38 metri tra blocchi scolpiti di marmo bardiglio. Unopera pensata dallarchitetto Vico Magistretti e realizzata da Pietro Cascella autore, tra laltro, dellArco della Pace di Tel Aviv. Artisti di grande peso per unopera giudicata molto originale eppure... Chi si azzarda a visitare il monumento non può fare a meno di turarsi il naso già a metà percorso. Un nauseante lezzo di ammoniaca distoglie subito il pensiero dagli aneliti repubblicani per tuffare il passante in una semplice domanda: perché nonostante la presenza di 100mila clandestini, di 5mila nomadi e di altrettanti homeless, Milano si ostina a non dotarsi di servizi igienici pubblici? Magistretti e Cascella, conferendo allopera numerosi anfratti che rappresentano la complessità del pensiero e dellazione di Mazzini, non hanno considerato questo aspetto. Il Comune ha fatto il resto collocando il monumento in un giardinetto anonimo che non è più via Vittor Pisani e non ancora via Turati e per di più illuminandolo solo con un faretto mezzo interrato.
È un Mazzini degradato, questo di piazza Repubblica, che di sera scompare nel nulla e che grida vendetta anche se nessuno sembra voler sentire. A eccezione del direttore dellantistante hotel Principe di Savoia, Ezio Indiani, il quale sarebbe ben contento se lAmministrazione si facesse finalmente carico del suo recupero. E dei passanti che tutti i giorni si imbattono nellimbarazzante manufatto. Angelo, 46 anni, impiegato: «Mi stupisco della scarsa illuminazione del monumento: quando è buio tra quei pietroni potrebbe succedere di tutto». Marzia, 21 anni, universitaria: «Perché, quello è un monumento a Mazzini? Non lo sapevo». Gianfranco, posteggiatore: «Adesso è niente, dovreste venire nelle giornate estive a sentire il tanfo che proviene da lì in mezzo!».
Un cartello piantato dal Comune alla base dellopera spiega che si tratta di «un monumento aperto non da contemplare ma da percorrere ai lati». Sta di fatto che i milanesi se ne guardano bene: tanfo di urina, foglie marcescenti, cartacce, vetri rotti, escrementi vari bloccano ogni curiosità. «È vero che Milano ha ben altre emergenze - dice un taxista che staziona alla fermata proprio lì accanto - ma credo che in nessunaltra città italiana un Mazzini, un Cascella o un Magistretti vengano trattati con tanta indifferenza».
E dire che il «giardino di pietra» potrebbe essere una meta didattica per intere scolaresche: sul lato sinistro dellopera ci si imbatte dapprima in un fiore, simbolo della gioventù che diede la vita nei moti mazziniani. Poi è rappresentata una barricata risorgimentale e, al termine, le lapidi delle imprese eroiche con nomi e date (Adelaide Cairoli, 1806-1871; Maurizio Quadrio, 1800-1876; Luigi Tinelli, 1799-1883; Amatore Sciesa, 1814-1851). A destra il percorso inizia con la Medusa che rappresenta il terrore in cui viveva lItalia; continua con una cariatide che regge un pietrone a ricordo della lunga oppressione esercitata dalla tirannide (purtroppo è questo lanfratto più «usato» dagli incontinenti di ogni specie) e con un volto nellombra a suggerire i tempi della cospirazione.
Proseguendo, il monumento offre al visitatore la visione simbolica della muraglia di un carcere e termina con uno scudo e una lancia, tradizionali emblemi del valore. Lì accanto vivacchia una statua in bronzo di Mazzini, opera di Giulio Monteverde datata 1874. È lunica citazione depoca in questa struttura moderna ma è anche lunico elemento illuminato e per giunta poco e male.
Mazzini al buio e nel degrado «Un monumento da salvare»
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