Il «mea culpa» di Wojtyla riveduto da Ratzinger

«Chiedendo scusa per il male dobbiamo anche ricordare il bene compiuto»

Il «mea culpa» di Wojtyla riveduto da Ratzinger

Andrea Tornielli

nostro inviato a Varsavia

Sono parole destinate a pesare, quelle pronunciate ieri da Benedetto XVI a Varsavia, davanti ai vescovi e ai sacerdoti riuniti nella cattedrale della capitale polacca: i cristiani non devono «negare i peccati del passato» ma nemmeno pretendere di farsi «giudici delle generazioni precedenti» e «indulgere a facili accuse in assenza di prove reali». Parole simili il cardinale Ratzinger le aveva pronunciate nel marzo 2000, presentando il documento «Memoria e riconciliazione. La Chiesa e le colpe del passato».
Nel mirino del Pontefice c’è una diffusa ma errata interpretazione del «mea culpa» pronunciato da Giovanni Paolo II in occasione del Giubileo per gli errori commessi dai cristiani lungo i secoli. Troppe volte, nei dibattiti televisivi così come in certa pubblicistica passa l’idea che la storia della Chiesa sia una storia criminale, fatta di uccisioni, complotti, roghi, oscurantismo. Pensiamo soltanto a quanto si legge nel «Codice da Vinci» e si vede nell’omonimo film: secondo Dan Brown sarebbero state «milioni» le streghe bruciate dall’Inquisizione cattolica, quando invece non arrivarono a cento. Ci sarebbe di che vergognarsi e chiedere perdono anche se ne fosse morta sul rogo una soltanto, ma la matematica non è un’opinione e l’esempio rende bene come si possano affermare leggende nere anticattoliche.
Con il suo intervento su questo argomento, Benedetto XVI ha voluto dunque marcare bene i limiti della richiesta di perdono, senza ovviamente negare o minimizzare in alcun modo gli errori (un riferimento, forse, anche a quei sacerdoti che collaborarono con la dittatura comunista fornendole informazioni), ma precisando bene il vero significato del coraggioso gesto compiuto dal suo predecessore. «Crediamo che la Chiesa è santa – ha detto il Papa – ma in essa vi sono uomini peccatori. Bisogna respingere il desiderio di identificarsi soltanto con coloro che sono senza peccato. Come avrebbe potuto la Chiesa escludere dalle sue file i peccatori? È per la loro salvezza che Gesù si è incarnato, è morto ed è risorto». «Occorre perciò imparare a vivere con sincerità la penitenza cristiana. Praticandola, confessiamo i peccati individuali in unione con gli altri, davanti a loro e a Dio. Conviene tuttavia guardarsi – ha aggiunto – dalla pretesa di impancarsi con arroganza a giudici delle generazioni precedenti, vissute in altri tempi e in altre circostanze. Occorre umile sincerità per non negare i peccati del passato, e tuttavia non indulgere a facili accuse in assenza di prove reali o ignorando le differenti pre-comprensioni di allora».
Non ci si può ergere a giudici severi del passato adottando le categorie del presente per condannare senza appello chi ci ha preceduto, è il monito del Papa.

«Inoltre – ha concluso – chiedendo perdono del male commesso nel passato dobbiamo anche ricordare il bene compiuto con l’aiuto della grazia divina che, pur depositata in vasi di creta, ha portato frutti spesso eccellenti».

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