Marco Mastorilli
Oggi e lunedì, Radici dacqua, la mostra di Melo Consoli, è ospitata dai bellissimi chiostri dellUmanitaria di via Francesco Daverio. Cresciuto accanto ai maggiori pittori italiani del Novecento (dei quali ricorda con affetto Pietro Giunni e Gino Moro), da quindici anni il maestro consolida rapporti con la Triennale. Una carriera da ufficiale alle spalle, ora in pensione, non ha mai abbandonato larte.
Un duplice aspetto traspare dai suoi lavori. Il primo è la potenza del colore che, estroflettendosi al di fuori del dipinto stesso grazie allausilio di resine acriliche e catramina, sembra annunciarsi in un contesto volutamente «esplosivo». Altra specialità del Consoli invece, è quella di delineare determinati segni che autoarticolandosi tra loro coprono la superfice della tela in molteplici e variegati tocchi, con precisione quasi ossessiva. Spesso le pennellate dellautore lasciano intravedere elementi strutturali che si rifanno ad una fascia dellAvanguardia artistica del neoplasticismo, il «Gruppo Destijl», nato nel lontano 1917.
È la natura linterlocutore privilegiato dei suoi quadri, unincessante ricerca di comprensione del reale, il filo conduttore del suo lavoro. Senza dubbio un linguaggio pittorico personale, onirico perché le immagini dei suoi dipinti sono rievocate dalla memoria e non direttamente dal soggetto da rappresentare.
«Se i colori fossero commestibili - commenta Melo Consoli - li mangerei per pranzo e per cena. Ciò non avviene anche perché il mio dialogo, il mio rapporto con i colori, è in fondo molto difficile. Davanti ad una tela bianca spesso mi sento in ansia, ma il colore mi chiama, mi avvince nel gesto. Poi il ripensamento affiora e il colore muta nel cancellarlo, nel raschiarlo, nello stenderlo nuovamente. Quando il colore si essicca, se un dubbio mi assale ancora, stendo sopra altro colore. Ecco. Dipingo spesso un muro - commenta il pittore -, il muro calcinato della memoria, il muro di una piccola casa che mio padre fece costruire in riva al mare; luogo dove si depositano e restano le cose che appartengono alla vita. Allora furono drammatiche o felici, adesso prendono il sapore della malinconia».
Limmagine di ogni quadro del maestro Consoli è uno spicchio di vita personale e un residuo di memoria impressa dai suoi trascorsi (come Sagrestia, i cui colori ricordano direttamente una vicenda personale, felice e cara allautore). Non può descriverne lessenza a parole, ma egli lo fa, non con il disegno ma con i toni delle tinte, ora solari, ora agresti.
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