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Meloni ai giovani di An: "Guardiamo al futuro"

Dopo le polemiche sul richiamo di Fini, partito diviso tra fedeltà al leader e difesa dell'identità. Il ministro scrive al sito di Ag: non fatevi relegare nello spazio angusto di cento anni fa. La lettera sul web

Meloni ai giovani di An: 
"Guardiamo al futuro"

Roma - «Credete nella Costituzione e nel futuro, non cadete nei tranelli». Alla fine Giorgia Meloni, ministro della Gioventù, ma anche leader indiscussa di Azione Giovani, ha scelto di scrivere una lunga lettera sul sito del suo movimento. Ha scelto questa strada, per provare a chiudere le polemiche che ormai si trascinavano da sabato scorso, ovvero da quando Gianfranco Fini aveva scelto la «sua» festa di Atreju per pronunciarsi sull’antifascismo, con frasi che avevano suscitato una vera ribellione nella base giovanile, una tempesta nei blog dell’area.

Ma ieri ancora il partito ribolliva. Al punto che Alessandra Mussolini girava fra Transatlantico e assemblea del Pdl al Tempio di Adriano con una vistosa t-shirt su cui era stampigliata l’inequivocabile scritta: «Orgogliosa di stare dalla parte sbagliata». E poi, per tutto Montecitorio si potevano incontrare conciliaboli di deputati aennini: scossi, perplessi, ultrafiniani e antifiniani, divisi fra fedeltà al leader e difesa dell’identità. Alle otto di sera, per dire, tre grintosissime parlamentari di An - Paola Frassinetti, ex pilastro del Fronte della Gioventù milanese, la romana Barbara Saltamartini e la bresciana Viviana Beccalossi - era riunite a discutere intorno ad un travolino di Ciampini a piazza in Lucina. Tutte e tre molto toste e molto determinate. E tutte e tre non proprio convinte (eufemismo) del nuovo pedigree identitario «antifascista». La Beccalossi, poi, è forse l’unica dirigente di primo piano insieme alla Mussolini (che però fa storia a sé, visto che era uscita da An già per lo strappo dello Yad Vashem) che ha avuto il coraggio di criticare Fini pubblicamente. Ieri la Beccalossi spiegava la sua posizione, aggiungendo all’analisi politica frammenti di lessico familiare: «I miei suoceri, elettori missini da sempre, sono rimasti choccati per le parole di Fini. Sono arrivati a dirmi: “Speriamo noi vecchi di morire presto, così potremo lasciare voi giovani liberi dagli spettri del passato”. Ma vi rendete conto?». Scene che in queste ore si ripetono in molte famiglie di destra postmissina.

Ecco perché, la presa di posizione del ministro della Gioventù ha messo fine a tutte le critiche di chi l’aveva sospettata di reticenza (la Meloni aveva parlato a caldo, dal palco, proprio quel giorno, ma dopo di allora non più, almeno in veste ufficiale) ma che di sicuro non chiude la maretta del dissenso in Ag. Una dichiarazione che attua alcuni distinguo dalla lettera del presidente di Ag di Roma, Federico Iadicicco («non potremo mai dirci antifascisti»), ma che non la sconfessa. Che raccoglie, fra l’altro, il consenso dell’Unione dei giovani ebrei d’Italia. A parlare è il presidente dell’organizzazione ebraica, Daniele Nahum: «Siamo molto soddisfatti dalla lettera pubblicata dal ministro Meloni e dalle posizioni da lei espresse. Queste parole pongono fine alla polemica degli ultimi giorni». La ministra insomma ha fatto di tutto per tenere insieme i pezzi della sua base giovanile, a rischio di implosione. Due dirigenti nazionali donne, la siciliana Carolina Varchi e la piemontese Augusta Montaruli, erano state durissime con Fini. E nei blog i sostenitori della ministra sottolineano che in realtà nella sua lettera dei «valori dell’antifascismo» - al contrario di come aveva fatto Fini - non si parla mai. Solidarietà, quindi: ma fredda.

Micidiale invece la Mussolini, quando scende in campo. Non contenta di aver sfilato in lungo e in largo per i corridoi del Palazzo, ieri si appostava con la sua t-shirt anche all’uscita dell’aula. Obiettivo? Placcare Fini. Ovviamente ci riesce. E così, quando il presidente della Camera abbandona l’emiciclo, ci si mette davanti e lo blocca letteralmente con il suo decolleté di protesta. Fini risponde con un accenno di sorriso e il suo noto sangue freddo: «E quale sarebbe la parte sbagliata?». Lei con una battuta quasi minacciosa: «Non ti preoccupare... ».

Subito dopo, il termometro del dissenso diventa la parata dei deputati di An, che si avvicinano all’Alessandra per comunicare assenso o dissenso, come i deputati anti-interventisti del 1914 che lasciavano il biglietto da visita nella portineria di Giovanni Giolitti per dirgli che erano con lui. Ma i tempi sono cambiati. E Infatti la Mussolini sorride: «È inutile fare comunicati altisonanti - dice - per rispondere alle sciocchezze di Fini. Bisogna fare come i ragazzi che si scambiano sms o e-mail, o si fanno magliette. Questi messaggi ironici funzionano meglio». Ma la Mussolini aveva pronto anche un terzo atto. E infatti, quando tutto sembra finito, sfodera una nuova t-shirt e un nuovo slogan: «La parte giusta è quella sbagliata». Come per il cuoco di Salò cantato da Francesco De Gregori.

E con il paradosso che - con ruoli e sfumature diverse - sono tutte donne quelle che tengono le fila del dissenso del partito.

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