La popolarità del presidente Barack Obama presso gli americani è in ripresa dopo un lungo periodo di continui cali. Sembra giovargli il fatto di non partecipare direttamente alla campagna elettorale per le elezioni di medio termine, fissate per il 2 novembre. E al tempo stesso i candidati democratici sembrano trarre vantaggio da una presa di distanza (a volta davvero imbarazzante per il presidente) dalla persona e dalle politiche di Obama.
L’inversione di tendenza è certificata dall’istituto Gallup, che fissa il gradimento del presidente democratico al 45%, contro il 44% del mese scorso. Obama continua a restare molto popolare tra i neri (91%), i democratici (79%) e i liberal (75%). L’inquilino della Casa Bianca gode anche del sostegno dei giovani (57%), degli ispanici (55%) e dei moderati (54%). È invece caduta al 40% la sua popolarità tra gli indipendenti. Il livello più basso (12%) è quello dei repubblicani: ma questo è abbastanza comprensibile, anche se in passato quasi tutti i presidenti degli Stati Uniti avevano ottenuto un miglior gradimento tra i concittadini di diverso orientamento politico.
E mentre si avvicina il fatidico 2 novembre, anche i candidati democratici recuperano nei sondaggi, pur restando mediamente indietro rispetto ai concorrenti repubblicani, che sono ormai da mesi stabilmente in testa. Un sondaggio pubblicato sul Washington Post dà il partito del presidente Obama al 43 per cento, contro il 49 del Grand Old Party. Un netto avanzamento per i democratici rispetto ad una rilevazione del mese di agosto, che li dava al 40 per cento contro il 53 dei repubblicani.
Rimane però il fatto che quattro anni fa, in questo periodo dell’anno, i democratici avevano un vantaggio di 12 punti percentuali. Il clima non è davvero quello che Obama desidererebbe, con solo quattro democratici su dieci che dichiarano di appoggiare le scelte del presidente. «Democratico» è diventata addirittura una parolaccia da non usare, per molti candidati democratici che vogliono essere rieletti. Così come evitano di pronunciare il nome di Barack Obama e della Speaker della Camera, Nancy Pelosi. Lo scrive il New York Times, notando come tanti candidati del partito del Presidente, nella loro campagna elettorale, stiano evitando accuratamente di associare il proprio nome al partito di cui fanno parte.
C’è chi si è ribattezzato come indipendente, per rifarsi una sorta di verginità e cercare di attirare voti moderati. E chi, come l’anziano senatore Charles Schumer, nei suoi spot ha sorvolato sulla sua lunga militanza democratica. Un candidato di New York, addirittura, si è vantato di essersi opposto alla riforma sanitaria della Casa Bianca, cavallo di battaglia del presidente democratico in carica. Un altro, senza alcun imbarazzo nel trovarsi così in linea con il linguaggio dei Tea Party (la nuova corrente radicale della destra repubblicana), ha già assicurato che si opporrà a ogni misura per salvare dalla bancarotta le grandi aziende.
Tra le preoccupazioni dell’elettore americano medio prevale il tema del lavoro, mentre la questione della sicurezza nazionale perde terreno. È dunque l’economia a determinare in questa fase le scelte degli elettori. Obama e i democratici recuperano, ma molta strada resta da fare.
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