La mia vita scandita dall'amore per i cani. La gioia di sentirsi felici e un po' ridicoli

Il "fido" ci salva dai capiufficio e dalle mogli petulanti: non ci può essere terapia migliore

La mia vita scandita dall'amore per i cani. La gioia di sentirsi felici e un po' ridicoli

Sono un cinofilo di lungo corso a volte contagiato dal virus della gattofilia e a questo punto, letta la sottile diagnosi sul fossato psicologico esistente tra i due schieramenti, non so più dove collocarmi, se tra gli introversi privi di narturance o tra gli estroversi che ne sono muniti. Maria Brunelli dubita di queste classificazioni e fa bene. Esistono i bisessuali, e quella loro disinvoltura e disponibilità amatoria può essere applicata anche al rapporto con gli animali di casa. Certo i gattofili a 24 carati, avendo a che fare con piccoli ma spudorati menefreghisti, devono avere una vena di masochismo, sono - Maria lo sottolinea - più schiavi che padroni: anche quando abbiano tempra di dominatori. All'elenco dei nomi di gattofili celebri che la Brunelli offre voglio aggiungere, per inciso, quello dell'ammiraglio veneziano Francesco Morosini che sul finire del 1600 ottenne sonanti vittorie nei mari di Grecia (e bombardò il Partenone): e che, ucciso nel 1693 a Nauplia da un attacco di calcolosi, ricordò nel testamento il suo nano e l'inseparabile gatto, del quale il museo Correr conserva le spoglie imbalsamate. Il mio attuale gatto, che non finirà in un museo, era un randagino intrepido introdottosi a forza nel giardino della mia casa in Grecia - nonostante la presenza di due barboncini chiassosi e innocui - con l'evidente proposito d'essere adottato. Lo è stato, è cresciuto, si trova adesso a Milano, e da mascalzoncello impunito tormenta con i suoi agguati il più giovane e giocherellone tra i cani. I due si divertono un mondo, è proprio vero che gli odi irriducibili sono una caratteristica degli umani. Ho divagato troppo, essendomi stato assegnato il compito d'occuparmi di cani senza gatti. Allora diciamo la verità: quando il cane è un compagno dal quale vogliamo affetto e non servizi utili, il nostro atteggiamento finisce per somigliare a quello dei gattofili inveterati. Siamo ansiosi d'adattarci alle sue esigenze più che d'adattarlo alle nostre. Ma a questo punto si crea una situazione curiosa, perché il cane la pensa allo stesso modo: non è come il gatto che a compiacerci non ci pensa nemmeno, e che considera un atto dovuto, e accettato con regale degnazione, ciò che facciamo per lui. Il cane è smanioso di soddisfarci, ha una dedizione totale, per chi sia frustrato da capiufficio insopportabili o da mogli petulanti non può esserci una terapia migliore della vicinanza canina: che restituisce importanza e tributa ammirazione alle nullità. Nessuno scrittore fallito, nessun politico trombato troverà mai consolazione nello sguardo d'un gatto: indagatore, distaccato, gelido, e apparentemente propenso a ritenere che il fallimento fosse giusto e la trombatura sacrosanta.

Il cane perdona tutto; dal giorno in cui se l'è fatto amico, l'uomo - qualsiasi uomo - è stato meno infelice. Non mi azzardo nemmeno a sfiorare il tema del cane nella storia e nella letteratura. Ci vorrebbe un'enciclopedia, e si va - cito a memoria, e spero di non incorrere in svarioni - dall'Odissea dove Argo riconosce Ulisse reduce dalla guerra di Troia e da un lungo vagabondaggio a Jack London (Il richiamo della foresta) e a Jerome K. Jerome con i suoi Tre uomini in barca per non parlar del cane. E infiniti altri.

Non tento nemmeno di proseguire. La vastissima setta dei cinofili si distingue per una convinzione tanto patetica quanto radicata, e indistruttibile: ossia la convinzione che il proprio cane sia d'una intelligenza appena appena inferiore a quella di Einstein nei suoi migliori momenti, e che solo il destino cinico e baro gli impedisca di darle sfogo. Con tutta sincerità, avendo accanto a me da anni cani appartenenti ad una razza ritenuta intelligentissima, i barboncini, ed avendo avuto in precedenza dei pastori tedeschi (i prodigi di Rex sul piccolo schermo vantano primati di audience), ho la certezza che la fedeltà, la simpatia, l'amore disinteressato del cane per il padrone non possano mai essere sopravvalutati, ma che il suo comprendonio lo sia largamente. Non mi so spiegare perché il più garrulo tra i miei barboncini si appiattisca a terra, quando gli devo mettere il guinzaglio, anziché facilitarmi le cose alzandosi. E ricordo con dolore cocente la morte d'un altro barboncino che avendo visto un cane (a lui particolarmente antipatico, in verità) dall'altra parte della strada, s'è buttato di corsa ed è stato travolto da un'automobile. I cani sono persone di famiglia, in tutto e per tutto dipendenti da noi, e il loro abbandono mi fa orrore. Eppure c'è chi li abbandona, in tempo di ferie estive: ma è accaduto anche con il ponte di Sant'Ambrogio, accadrà purtroppo (è triste e facile prevederlo) con le festività natalizie.

La crudeltà degli abbandoni è superata solo dalla crudeltà di chi addestra i cani ad essere feroci, e li esibisce in combattimenti sanguinari. Anche contro questi obbrobri si batte la Lega antivivisezionista. La vivisezione più interessante e utile sarebbe quella del cuore di certi padroni.

(23 dicembre 2000)

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