Politica

Miccichè: «Italia più forte, ci ascolteranno»

Il ministro dello Sviluppo: «L’esercizio provvisorio dell’Ue penalizzerebbe i nuovi Paesi membri»

da Roma

La posizione dell’Italia sulla partita per i fondi strutturali Ue è compatta. Il ministro per lo Sviluppo e la coesione territoriale, Gianfranco Miccichè, conferma che se non verranno accolte le nostre richieste, scatterà il veto. Una soluzione estrema che lo stesso Miccichè si augura di non dover utilizzare.
Eppure l’Italia sta facendo la voce grossa...
«Purtroppo il risultato del referendum francese sulla Costituzione europea sta complicando le cose. La posizione espressa dal Lussemburgo ci penalizza troppo e rischia di tagliare in maniera eccessiva i fondi per le regioni del Mezzogiorno».
Come mai si è arrivati a questo punto?
«Intanto cominciamo col dire che non c’è nulla di premeditato. Forse qualcuno si era abituato all’Italia come ad un Paese che alla fine si mette d’accordo. Ma noi, in questa fase siamo forti. E lo siamo per il prestigio internazionale ottenuto grazie alle mediazioni di Berlusconi. Lo siamo perché siamo i primi della classe, visto che utilizzamo fino in fondo tutte le risorse europee, mentre in passato non era così. E poi perché tutto il Paese è unito su questa posizione. Anche la Lega ha tenuto un comportamento intelligente capendo che il Sud rappresenta una risorsa per tutto il Paese».
Cosa succede se eserciterete il diritto di veto?
«Sarà un problema per tutti. La votazione sui fondi strutturali richiede la maggioranza del 100%. E se non raggiungeremo l’accordo sotto la presidenza lussemburghese, sarà molto difficile, poi, arrivare a un’intesa con la presidenza inglese e austriaca. Di conseguenza, si dovrebbe ricorrere all’esercizio provvisorio che, appunto, rappresenta un danno per tutti».
Perché?
«Con l’esercizio provvisorio non vengono definiti i fondi strutturali. A pagarne le conseguenze maggiori sarebbero i 10 Paesi nuovi entrati. Noi, infatti, fino al 2006 avremmo assicurati i fondi previsti dall’agenda 2000-2006».
Non pensa che l’irrigidimento della posizione italiana possa ridurre i margini di trattativa?
«No. I margini per arrivare a un accordo ci sono. Noi ci stiamo muovendo lungo due direttive: aumentare le risorse dei fondi strutturali e modificare i parametri degli stanziamenti pro-capite, vale a dire di quanto ogni singolo cittadino deve versare per l’obiettivo uno».
Vale a dire?
«Tra i vari parametri presi a riferimento, abbiamo chiesto e ottenuto di inserire anche quello relativo alla disoccupazione. Il problema è che noi vogliamo che il suo valore sia uguale agli altri parametri mentre la presidenza lussemburghese vuole che valga la metà. In questo modo, però, noi saremmo troppo penalizzati. Vogliamo evitare che accada quello che è successo nel 1999 a Berlino quando ottenemmo sulle quote pro-capite molto meno di quello che avremmo dovuto avere».
È convinto che si possa arrivare a una soluzione positiva?
«Resto sempre ottimisma. I contatti proseguono anche a livello informale e riservato.

Credo che alla fine una soluzione positiva si troverà».

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