«Io non sono un architetto», diceva Michelangelo Buonarroti, in aperta polemica con personalità quali Sangallo, che nelle corti del Cinquecento erano il corrispettivo delle archistar dei nostri tempi. Ebbene, Michelangelo fu molto più che un architetto; fu un innovatore nel modo di concepire gli spazi, quelli dell'edilizia civile e religiosa e anche militare. All'architettura si dedicò molto, specie negli ultimi anni della sua vita, a Roma, e oggi una mostra al Castello Sforzesco celebra questo suo talento creativo, certamente meno noto al grande pubblico della sua pittura e della sua scultura. Michelangelo architetto (Sale Viscontee, fino all'8 maggio, catalogo Silvana Editoriale) raccoglie, per la cura di Pietro Ruschi, una cinquantina di fogli autografi del maestro provenienti da Casa Buonarroti, il museo fiorentino depositario della maggioranza dei disegni di Michelangelo. È un fondo di pochi fogli, circa duecento, i soli che si salvarono dalla furia distruttrice del maestro, giacché, come rivelano le cronache dell'epoca, Buonarroti fece più di un falò dei suoi schizzi. Paura di essere copiato? Insoddisfazione? Mania di perfezionismo? Difficile rispondere, anche se dalle opere messe in mostra a Milano è evidente il tormento interiore del maestro fiorentino: lo si vede negli schizzi per la facciata della Basilica di San Lorenzo a Roma, ma anche nella progettazione delle maestose Cappelle Medicee a Firenze, negli studi per la Biblioteca Laurenziana e persino nella progettazione del cupolone di San Pietro, dove Michelangelo lavorò, chiamato da Paolo III, per completare l'opera di Bramante e Raffaello. Più che un completamento, si trattò di un rifacimento, considerato che il Buonarroti possedeva un modo unico di progettare, spesso polemico nei confronti dei suoi contemporanei, devoti ai canoni classici.
Lo spiega Pietro Ruschi: «Michelangelo era dotato di una memoria sbalorditiva e anche quando progettava si basava su un processo mnemonico particolare: è stato dimostrato, infatti, che a distanza di molti anni era in grado di rimettere mano a un lavoro e trasformarlo, correggerlo, perfezionarlo». Di questo tormento interiore, una sorta di accanimento creativo che accompagnava ogni sua opera, si trova traccia nei fogli ora esposti al Castello Sforzesco: su molte delle pagine autografe si vedono le correzioni e le riscritture. «Michelangelo amava usare i fogli più volte, scrivendo avanti e dietro - continua Ruschi -: oggi non è sempre facile decodificare tutte le stratificazioni dei suoi disegni». La mostra, promossa dal Comune di Milano, in collaborazione con l'associazione MetaMorfosi, segue in ordine cronologico i progetti degli anni fiorentini (a cavallo tra i ’20 e i ’30 del Cinquecento), quelli passati alla corte dei Medici, e chiude con i lavori romani, come il rifacimento di Porta Pia cui il maestro si dedicò nei suoi ultimi anni di vita. Alcuni lavori incompiuti, come i progetti della basilica di San Giovanni dei Fiorentini a Roma, sono stati rielaborati in mostra in 3D, dando così corpo a schizzi, nervosi e appassionati, che occuparono lunghi mesi di lavoro del maestro ma che non furono mai realizzati.
I Musei Civici del Castello in concomitanza con la mostra hanno organizzato un ciclo di conferenze su Michelangelo (il 25 e il 22 febbraio poi l’1 marzo) per studiosi e appassionati, in vista anche di un secondo appuntamento tutto dedicato al Buonarroti: dal 18 marzo al 19 giugno, infatti, lo Sforzesco ospiterà una grande mostra sulla Pietà Rondanini, il capolavoro più celebre custodito al Castello. Questa seconda esposizione, che in parte si accavallerà temporalmente con la prima, si intitolerà L’ultimo Michelangelo. Disegni e rime attorno alla Pietà Rondanini, e sarà accompagnata da circa cento autografi di Michelangelo.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.