Michele ci diede dei razzisti e la Rai sborsò 30mila euro

Era una sera di novembre del 2000, anzi una seconda serata. Su Raidue. Michele Santoro aveva da poco iniziato, tra cronaca e politica, una nuova trasmissione: Il Raggio Verde. Tra cronaca e politica, in quei giorni, in primo piano c’era la dura presa di posizione di alti esponenti della Lega Nord contro l’apertura di moschee in alcune città italiane. Ampliando il discorso ai problemi dell’integrazione, ai rapporti cristianesimo-islam, e ai ciclici rigurgiti razzisti, era un tema perfetto per una puntata televisiva. Infatti.
Infatti quella puntata avevo deciso di guardarla: si preannunciava interessante. E lo fu, fino a quando l’inchiesta realizzata dai pasdaran della redazione di Santoro cominciò a scivolare sul terreno fangoso dei rapporti tra Lega, radicalismo e - ingrediente immancabile - movimenti della destra xenofoba. Con una serie di salti illogici inquietanti, nel giro di venti minuti, attraverso un paio di servizi, una manciata di interviste e alcuni link da un sito internet all’altro, Santoro riuscì a collegare - con mia grande sorpresa e altrettanta inquietudine - un gruppo di integralisti cattolici riuniti sotto la sigla «Holy War» (che si sussurra abbia addirittura schedato i nomi delle famiglie ebree nel mondo) con altre sigle non meglio identificate ma di orientamento antisemita e razzista fino ad arrivare - con mio spavento - all’associazione culturale Terra Insubre, vicina alla Lega Nord di Varese. E soprattutto vicina a me, che della rivista Terra Insubre, pubblicata dall’associazione, sono - più o meno degnamente - direttore responsabile. Tanto responsabile che, in pagina, ho sempre e solo «passato» articoli che oscillano - con moderata monotonia - tra l’archeologia e la storia locale, il folklore e la gastronomia lombarda. A volte, questo sì, sostenendo che i brüscìti sono meglio del cuscus.
Personalmente ho sempre considerato il giornalismo come battaglia. Una battaglia culturale, più che politica. Ma la battaglia non è guerriglia, e ha delle regole. Che il giornalista Michele Santoro in quel caso ha violato. Tanto più che la sua redazione aveva nei giorni precedenti contattato telefonicamente Andrea Mascetti, fondatore dell’associazione Terra Insubre, e Gilberto Oneto, punto di riferimento nell’area culturale della Lega, per una dichiarazione da mandare in onda durante la trasmissione. Entrambi rifiutarono l’intervista, per evitare di alimentare polemiche su un tema infuocato come quello delle moschee in Italia. Ma - questo è il punto - senza che i due esponenti della Lega fossero avvertiti, il loro rifiuto, subdolamente montato, fu mandato in onda all’interno dei servizi filmati, quasi un suggello dello spericolato collegamento tra gruppi xenofobi da una parte e una sonnacchiosa associazione culturale dall’altra.
In questi casi, o si chiede una rettifica o si querela. Conoscendo il mondo del giornalismo, si optò per la seconda.
Era una seconda serata di novembre del 2000. In un primo pomeriggio di novembre del 2007, Michele Santoro fu condannato dal Tribunale di Varese a pagare una multa di mille euro per diffamazione e 10mila euro di danni (oltre le spese processuali) per ciascuna delle tre parti civili costituitesi: Andrea Mascetti, Gilberto Oneto e l’associazione Terra Insubre. Un conto totale superiore ai 30mila euro. Pagato dalla Rai, cioè da noi (o perlomeno da chi corrisponde il canone). Non c’è che dire: un ottimo servizio. Privato.


Comunque, quel giorno, subito dopo la sentenza, chiamai il Mascetti, chiedendogli «E adesso, che si fa?». «Ti passo a prendere alle nove, si festeggia: andiamo alla Schiranna a mangiare i brüscìti».
Che, notoriamente, sono molto meglio del cuscus.

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