Microsoft è un caso di mercato non di Antitrust

Tra meno di una settimana, il prossimo 17 settembre, il Tribunale di primo grado della Corte europea di giustizia si pronuncerà su una vertenza che potrebbe avere una portata storica. Condannata nel 2004 a una multa colossale dal Dipartimento della concorrenza (allora guidato da Mario Monti), la Microsoft si è indirizzata alla magistratura comunitaria nella speranza di veder rovesciato il giudizio. Ma in ballo vi è molto di più che la semplice cancellazione delle sanzioni subite dal colosso informatico di Redmond, poiché giudicando Microsoft colpevole di aver abusato della propria posizione dominante (per via del programma di lettura multimediale inserito in Windows e per aver tutelato la segretezza del proprio codice sorgente) l’Antitrust europeo ha finito per imporre principi che, di fatto, limitano sempre di più la libertà di mercato.
Tale questione è stata affrontata da più punti di vista in occasione di un seminario organizzato dall’Istituto Bruno Leoni, a cui hanno partecipato Federico Vasoli (dello studio De Masi - Taddei - Vasoli), Alberto Mingardi e Paolo Zanetto (già coautori di un volume sul tema). Dalle analisi è emerso che se certamente sono lecite molte riserve sulla tradizione americana in tale ambito (dallo Sherman Act del 1890 in poi), la situazione europea appare assai più preoccupante.
In fondo, le autorità statunitensi colpiscono quelle che vengono considerate «patologie» (i monopoli giudicati illegittimi), mentre da noi la pretesa di tutelare mercato e concorrenza ha permesso azioni assai più intrusive. Se in America si combatte il male, o ciò che si ritiene tale, qui invece si intende promuovere il bene, riproponendo in forme nuove lo statalismo di sempre.
Questo accentuato interventismo è all’origine di molti danni. Già asfissiata da tassazione e regolamentazione, l’Europa sta delineando un ambiente economico-giuridico assai avverso alle imprese. Chi intende destinare somme importanti in progetti innovativi, infatti, si propone di arrivare per primo, facendo meglio degli altri e soddisfacendo più clienti. Ma se tutto ciò nel Vecchio Continente è considerato di per sé censurabile, i capitali si sposteranno altrove.
Tutto ciò discende dal non aver compreso che il mercato è uno spazio aperto (in cui chiunque può entrare e competere: anche sfidando i vecchi colossi consolidati), e non già un ordine necessariamente caratterizzato da innumerevoli aziende, tutte più o meno piccole.
Per avere più concorrenza, allora, bisognerebbe togliere le barriere legali, e non già minare i capisaldi giuridici di ogni ordine liberale: dalla proprietà alla libera iniziativa, dal diritto di associazione alla privacy.

Impedire la crescita, ostacolare le fusioni, condannare i cartelli che emergono sul mercato e costringere a rendere pubblici i propri segreti industriali porta infatti a conseguenze molto nefaste.
Tra pochi giorni la corte deciderà. In gioco vi saranno non tanto i soldi di Bill Gates, quanto invece il quadro giuridico dell’economia europea di domani.

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