Vietato rallentare. Il Milan è appena tornato in pista dopo la falsa partenza: infilati un paio di giri ad alta velocità, uno col Palermo, in campionato, il secondo col Bate Borisov in Champions mercoledì sera. Eppure la distanza dai primi della classe è tale da rendere indispensabile una striscia di successi prima della prossima sosta (13 novembre). Perciò Allegri, in un vertice privato a Milanello, ha ripetuto ai suoi due concetti: «Dobbiamo rimanere avvelenati, dobbiamo fare più punti possibili nelle prossime quattro sfide, solo così possiamo lottare fino alla fine per lo scudetto». Tradotto è lo stesso pronostico firmato da Silvio Berlusconi («con Pato e Seedorf non ce nè per nessuno!»). «Con il presidente io sono sempre daccordo» la frase di Allegri messa lì per segnalare lintesa perfetta con Arcore. Sembra facile accelerare in Puglia ma lungo la strada del viaggio a Lecce ci sono un paio di tabù che rendono più complicata del previsto la missione fissata allora di pranzo: è da dieci anni infatti che il Milan da quelle parti non riesce a imporsi. Dieci anni, nel calcio, sono una eternità. Il precedente favorevole è fermo a una domenica di gennaio del 2002: nel finale insipido golletto di testa di Josè Mari su punizione di Andrea Pirlo, in panchina Ancelotti subentrato a Terim e alle prese con una lenta ricostruzione che sarebbe sbocciata nellestate successiva, Manchester. Da quella data in poi il Milan ha collezionato una striscia di pareggi deludenti: gli ultimi due in sequenza, entrambi capaci di rendere meno luccicanti le acrobazie balistiche di Ronaldinho e Ibrahimovic. Se segnano i vip, il successo non è garantito, verrebbe da chiosare. Proprio come accadde nellagosto del 99 il giorno del debutto italiano di Andriy Shevchenko.
Laltro tabù è rappresentato dal curioso incrocio di risultati: il Milan ha sempre perso lontano da San Siro (a Napoli e con la Juve), il Lecce non ha mai fatto gol e punti nel suo stadio. Devessere per questo motivo che Allegri si è ben guardato dallidea di concedere un parziale riposo a Cassano (17 partite tra Milan e Nazionale in 70 giorni) accolto da quelle parti come il nemico pubblico numero uno. Perché è barese di anagrafe e perchè nel suo curriculum ha un bel numero di gol (sette) firmati contro i leccesi in carriera. La spiegazione, in questo caso, è molto più elementare e meno legata alla scaramanzia: non si interrompe una magia. E al momento il duo dattacco Ibra-Cassano viaggia su una lunghezza donda strepitosa. A tal punto da aggiungere il terzo compare, Robinho.
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