Milano è brutta? Dirlo va di moda ma è una banalità

Va di moda dire che Milano è brutta. Tanto che a ripetercelo è il re della moda, Giorgio Armani. Lo fa almeno un paio di volte all'anno e quelli del Corriere non se ne perdono una. Certo, qualche cronista sado-maso e qualche titolista depresso ci mettono del loro. Ma è inevitabile quando si persegue accanitamente la strumentalizzazione politica. Tanto che il presidente della Provincia Filippo Penati raccoglie subito l'assist punzecchiando palazzo Marino ma anche, e opportunamente, ricordando al sistema moda i doveri nei confronti della città. Se si discute di ciò che è bello o brutto, nessuno può permettersi di dissentire dal più grande stilista di tutti tempi. Si può, al massimo, cercare di formulare un giudizio più articolato e analitico, meno apodittico. Osservando, ad esempio che Milano, più che altro, è diversa. Diversa dalla città italiana da guida turistica: non è Firenze o Venezia o Roma. Perché diversa è la sua storia, il suo carattere, il suo rapporto col mondo: metropoli del cambiamento, dell'innovazione, del movimento, distrutta e ricostruita più volte di qualsiasi altra città italiana, sempre trasformata. Anche per questo viverci è impegnativo. Milano è bella in modo diverso, negli interni, nei cortili e nei giardini, nelle facciate dei suoi palazzi. Ma anche - Armani ne sa qualcosa - nelle sontuose vetrine del centro, nel fasto dei suoi alberghi, dei suoi bar e ristoranti. E poi - perché no? - nello stile, negli stili della gente. Insomma, Milano è bella secondo una modalità meno banale, meno turistica di intendere la bellezza di una città. E comunque a me il centro della nostra città sembra bello. Bello e basta.

Come pure mi sembrano belli i diversi «altri centri» che stanno nascendo intorno a quello «storico», cambiando la tradizionale struttura urbanistica di Milano: la Bovisa, ad esempio. Proviamo ad emanciparci dalla banalità.

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