Quanta confusione nei cieli dell'arte degli ultimi tre decenni! A dissiparla non sono bastate le categorie critiche che si sono via via inventate (concettuale, ritorno alla pittura, neoconcettuale...), anch'esse vaghe al fondo, oppure troppo schematiche e perciò inadatte a cogliere la complessità dei fenomeni. Non resta quindi che tornare sulla terra: badare al sodo, insomma, occuparsi dei fondamentali. Per esempio dell'atteggiamento che gli artisti tengono nei confronti del reale: qual è il loro modo di relazionarsi a quel frammento emblematico di realtà che è il paesaggio? A questa domanda risponde Quelli che restano. Stati d'animo del paesaggio contemporaneo, la mostra a cura di Mimmo Di Marzio in corso fino al 29 gennaio 2012 all'Oberdan. Nello spazio espositivo dell'Assessorato alla Cultura della Provincia di Milano sono state raccolte le opere di artisti nati per lo più tra la fine degli anni Cinquanta e l'inizio dei Sessanta, quindici figure di spicco della scena artistica italiana che, sebbene abbiano conquistato una notorietà internazionale, hanno mantenuto un forte legame con la metropoli ambrosiana (da ciò il titolo boccioniano della mostra). La peculiarità è che, secondo gli schemi correnti, i quindici militano su fronti contrapposti: lo spettro dei partecipanti a Quelli che restano varia dai pittorici e cosiddetti «tradizionali» Alessandro Papetti, Marco Petrus e Giovanni Frangi, ai concettuali e «sperimentali» Adrian Paci, Vedovamazzei e Alberto Garutti. Ma sorprendentemente i tentativi di sperimentazione, di sviluppo interno al proprio linguaggio espressivo, affiorano maggiormente nel polittico dinamico, quasi cinematografico, nel transito rapidissimo nel paesaggio urbano proposto dal «tradizionale» Papetti, o nel tappeto ai limiti dell'optical di Petrus. Un'opera quest'ultima che segue quella logica di «straniamento dall'architettura», e allo stesso tempo «la dinamica tra precisione e fluidità», tra «progettualità e artigianalità», alla quale il pittore milanese deve la sua fama. Un'altra sorpresa è rappresentata dal dialogo spontaneo, dalla sintonia quasi inaspettata, che si instaura tra artisti apparentemente distanti: come dimostra la bella stanza in cui un'installazione di Loris Cecchini fronteggia una sequenza di opere su carta di Frangi. Ecco forse il segreto di una mostra riuscita sul paesaggio è tutto qui, nella capacità di esprimere sintonia tra ciò che è dentro l'artista e ciò che sta fuori di lui. In fondo la poetica degli «stati d'animo», iniziata dai Simbolisti e ripresa e approfondita da Umberto Boccioni, era funzionale proprio a questo tentativo di trovare il diapason tra interiorità ed esteriorità, di stabilire una forma di intimità con il reale attraverso l'opera d'arte.
Le tematiche affrontate nella mostra presso lo spazio Oberdan verranno approfondite attraverso una serie di incontri con esponenti di varie discipline: si inizia il 19 dicembre con «Sentire il paesaggio» assieme ai poeti Giancarlo Majorino, Tommaso Kemeny e Roberto Mussapi. (Spazio Oberdan, Viale Vittorio Veneto 2, fino al 29 gennaio. Orari: 10-19.30 - martedì e giovedì fino alle 22 - chiuso il lunedì, ingresso libero)- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.