La Milano dell’arte

In Svizzera opere da milioni di euro «Ma i collezionisti si fidano di più»

Il museo d’arte contemporanea targato Libeskind è ancora un progetto su carta, quello sul ’900 all’Arengario un cantiere in restauro, gli spazi espositivi pubblici -leggi Pac- senza infamia e senza lode. Eppure, sotto la Madonnina, gli appassionati d’arte non sembrano disperarsi troppo. Perché? Semplice. A Milano l’arte la fanno soprattutto le gallerie private che, crisi o non crisi, detengono lo scettro del mercato nazionale, sia nel Moderno che nel Contemporaneo. E dettano le tendenze. Questa settimana sono spariti tutti, galleristi, mercanti, intermediari, collezionisti e anche amatori un po’ squattrinati. Dove sono? A Basilea ovviamente, dove tutti gli anni, di questi tempi, si tiene la più importante fiera d’arte del mondo, occasione unica per vedere concentrate le maggiori gallerie e opere da milioni di euro.
Tra i 300 espositori accettati dalla rigidissima commissione solo una ventina di italiani. Manco a dirlo, la stragrande maggioranza sono milanesi. Nell’ordine: Gio Marconi, Emy Fontana, Tega, Massimo De Carlo, Christian Stein, Zero, Invernizzi, Lorenzelli e De Cardenas. Per loro, la presenza ad Art Basel non rappresenta solo un’opportunità per mettere a segno ottimi affari, garantiti dalla presenza dei maggiori collezionisti del mondo pronti a staccare assegni veri; ma anche un marchio di qualità, una patente doc da esibire ai propri clienti. Così si assiste ad alcuni apparenti paradossi, ad esempio che la maggioranza delle suddette gallerie diserti puntualmente -ma sarebbe meglio dire snobbi- l’unica fiera d’arte milanese, Miart; oppure che a Basilea acquisiscano clienti italiani che non avevano mai incontrato a Milano. Questione di status symbol? «Non solo» dice Emy Fontana che ad Art Basel ha portato l’intera sua scuderia di artisti tra cui gli italiani Luca Vitone, Monica Bonvicini e Liliana Moro. «I collezionisti sanno che da noi a Basilea trovano solo la cosiddetta prima scelta degli artisti, ovvero opere inedite e di altissima qualità. D’altra parte non potrebbe essere altrimenti visto che è la commissione selezionatrice stessa ad esigerlo e il pubblico, composto anche dalle maggiori istituzioni mondiali, è di palato fino».
I prezzi agli stand, ovviamente, sono direttamente proporzionali. Per le opere internazionali si va da una base di 100mila euro, fino ad oltre cinque milioni. «Gli affari sono importanti -dice un altro habitué, Gio Marconi, alla sua settima presenza consecutiva -ma ciò che davvero conta è la possibilità qui a Basilea di lanciare nell’olimpo artisti emergenti e prendere i contatti con le grandi istituzioni pubbliche che sono poi quelle che consacrano gli artisti e i loro listini». Marconi è un nome storico nel panorama milanese, dagli anni ’60 galleria di riferimento di maestri come Man Ray a Sonia Delaunay, da Lucio Fontana, Mario Schifano a Enrico Baj ed Emilio Tadini. A Basilea la galleria di via Tadino presenta la nouvelle vague italiana e straniera tra cui John Bock, Nathalie Djurberg, Tobias Rehberger, Luca Trevisani e Francesco Vezzoli.
Per Giulio Tega, altro big delle gallerie milanesi, Basilea è ogni anno la conferma che l’arte made in Italy, quella di qualità, paga sempre. Specializzata nei grandi artisti del ’900, la galleria ha esposto una scuderia di prim’ordine composta da opere di Lucio Fontana, Alberto Burri, Piero Manzoni, Mimmo Rotella (ma anche Andy Warhol).

I prezzi partono da 200mila euro a 4 milioni. «Un successo previsto -dice soddisfatto Tega- ma grazie soprattutto ad una selezione di opere maggiori e un allestimento di alto livello. Altrimenti da queste parti non ti considerano neppure».

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