«Addio a Giacomo Biffi, grande erede della tradizione dei preti ambrosiani»

Da Sant’Ambrogio a San Petronio con coraggio profetico. Giacomo Biffi, «italiano cardinale» morto ieri a 87 anni, era un grande milanese. E ha attraversato la storia del Paese e della Chiesa con il suo stile rigoroso, dolce e ironico. Incarnando - ha detto ieri il cardinale Angelo Scola - la «grande tradizione del prete ambrosiano». Biffi a Milano era nato il 13 giugno 1928. Da una famiglia popolare. Si era formato nei seminari dell'arcidiocesi, poi laureato in teologia a Venegono, infine venne ordinato sacerdote nel 1950 dal cardinale Ildefonso Schuste fu parroco a Legnano e poi a Sant'Andrea. Fu nominato vescovo ausiliario nel 1975 e nel 1984 venne mandato a Bologna, arcidiocesi che resse per quasi un ventennio. Lo spessore teologico e pastorale del personaggio è testimoniato da un aneddoto raccontato dal giornalista Francesco Grana.

L'aneddoto si riferisce al conclave del 2005, quello che elesse al soglio pontificio Joseph Ratzinger. E vuole che Biffi, lamentandosi scherzosamente con altri porporati a Casa Santa del voto che continuava ad arrivare sul suo nome, venne a scoprire che era proprio il futuro pontefice, e attuale Papa emerito, a votare per lui. Al di là del segreto della Cappella sistina, la considerazione di Ratzinger è testimoniata dalla richiesta che gli arrivò, nel 2007, di predicare gli esercizi spirituali per lui e per la curia romana. Ed era la seconda volta perché anche Giovanni Paolo II lo aveva voluto a Roma nell'89, 4 anni dopo avergli conferito la porpora, poco meno di un anno dopo l'ingresso nell' arcidiocesi emiliana in cui lo aveva voluto «trapiantare», con mossa di grande efficacia.

Biffi non ruppe mai il legame con Milano. Straordinario studioso di Sant'Ambrogio, curò con studio ventennale l'opera del grande Padre della Chiesa - un lavoro monumentale affidatogli da Giovanni Colombo. Il Comune nel 2010 gli ha conferito l'Ambrogino d'oro. «Nel suo stile di vita, di esercizio del ministero sacerdotale ed episcopale, e nella sua riflessione dottrinale e culturale, ha incarnato fino in fondo la grande tradizione del prete ambrosiano, capace di approfondire le ragioni della fede e della loro limpida comunicazione all'uomo contemporaneo» ha detto ieri Scola. Ha scritto una serie incredibile di saggi. Indimenticabile la sua lettura di Pinocchio, da favola morale a parabola sulla salvezza.

Fu il suo primo libro: «Me lo comprò mio padre alla fiera di sant'Ambrogio, quando avevo 7 anni» raccontava. «Contiene la verità totale sull'uomo». Indimenticabili le conversazioni trasmesse da Radio Maria, in cui affrontava il tema dell'enigma del male e della vita.

«È sempre stata sorprendente - parole di Scola - la sua capacità di cogliere, con espressioni efficaci, sintetiche ed assai argute, i momenti di cambiamento, senza mai cedere alla tentazione di ricercare facile consenso e plauso».

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