Non si è fatta attendere come una sposa. Al contrario, è arrivata prima di tutti Inge Feltrinelli nel suo tailleur pantalone arancio, colore della sensibilità, un fiore appuntato sulla sinistra e una spilla intagliata nell'inconfondibile «F» sul revers destro della giacca. Attende, sola, nella neonata libreria in Galleria Vittorio Emanuele. Prima di mezzogiorno Inge era lì, e quel suo colore non poteva che diffondere entusiasmo. La simbolioca «F» rossa e oro è disegnata come un angolo, ma la sede Feltrinelli di libri, gadget, riviste, spartiti musicali un angolo non è, potendo diventare anche una sala da concerto vista la presenza del pianoforte a coda.
«Sono orgogliosa che sia a Milano la più grande libreria d'Italia» afferma la signora, che matiene sul volto dallo sguardo acuto solo il vezzo di un tocco di rossetto della stessa luce dell'abito. Arancio. Sta seduta su una poltrona tra il pianoforte e la zona «salotto», che loda «perché - afferma ancora - in una libreria ci si deve poter accomodare con tranquillità per visionare i volumi scelti. La libreria è un salotto democratico, aperto a tutti, l'unico salotto democratico».
I fotografi cercano di catturare la sua attenzione, e lei, renitente, inforca anche un paio di occhiali scuri pur di rimanere in disparte, non sposa ma madre di questo nuovo spazio chiaro, con una maternità tacita di genius loci che vuole diffondere intorno la forte ma muta accoglienza dell'abbraccio di una donna. «Guardate come è bella, questa libreria è bella come un bambino. Sono molto attenta alla letteratura per l'infanzia, perché è indispensabile che i bimbi leggano. L'intera sezione della libreria dedicata ai più piccoli è stata realizzata da un team di Reggio Emilia, dove sono molto competenti su questo tipo di letteratura».
E' serena, giuliva e ammirata nel guardarsi intorno, soprattutto orgogliosa che nella neo Feltrinelli sia stato inglobato il vecchio spazio Ricordi. Forse è un augurio affinché la statua di Giulio Ricordi esca anch'essa dalla dimenticanza. «Non conoscevo la storia di questa statua abbandonata. Milano dovrebbe fare qualcosa». Per tutta la presentazione, a cui interviene l'intero vertice Feltrinelli, non si muove dalla poltrona, chiedendo solo al figlio Carlo: «Ti piace?». Più che schiva o chiusa, sembra trasognata. «I libri sono stati la mia vita. Ho sempre letto molto fin da bambina soprattutto i classici, essendo cresciuta in un'epoca in cui la televisione non esisteva ancora, però non sono mai riuscita a leggere un libro per volta. Ne scruto almeno cinque o sei insieme. Li lascio e li riprendo, li lascio e li riprendo».
Quindi non ha un livre de chevet? «No. Tengo cinque volumi sul comodino e non c'è un titolo che preferisco tra gli altri». Si rifiuta di parlare, anche interpellata, ma ricorda come «questa «biblioteca» sia nata nei 60 anni della casa editrice, fatto molto significativo. Vi rendete conto, in questo luogo chiaro ci sono 70 mila volumi e sembrano più giovani, perché questo spazio è giovane». La «F» puntata alla giacca s'illumina di un brillìo discreto; oggi è una «F» di «felicità». In mezzo a tanti volumi, a una storia di genti e scrittori, non ha mai sentito la tentazione di scrivere? «Assolutamente no, non ho mai pensato di scrivere».
E ci viene in mente Lara del «Dottor Zivago», quel titolo russo di un'epica d'amore e di politica portato dall'Italia al Nobel da Giangiacomo Feltrinelli. Davanti alle poesie di Zivago Lara dice: «Questa non sono io, sei tu».di Elena Gaiardoni
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