Via ai saldi, senza code A spendere sono i turisti

Ma in via Montenapoleone e in Galleria adesso la moda è non abbassare i prezzi. «Non è chic»

Elena Gaiardoni

Tutti giapponesi in coda da Chanel - fila in relax, però - l'unica grande griffe che ha il coraggio di pronunciare la parola: «Saldi». Giapponesi e clienti dell'est non mancano a Milano. Freddo, esploso ieri, e timore di qualche attentato con misericordia non bloccano l'afflusso di turisti.

Sotto la Galleria Vittorio Emanuele il cartello «Saldi» compare solo da Swarowski. Negli altri negozi il saldo c'è, ma non si vede e non deve vedersi. «Lo abbiamo fatto apposta, per tenere alto il livello della Galleria» dicono i negozianti del salotto milanese, ma la stessa idea esprime Massimo in un altro store di lusso in via Montenapoleone: «Da quando esistono gli outlet i saldi non hanno alcun senso. Sminuiscono il valore di una firma. Alcuni nostri clienti comperano i capi esclusivi nei resort di montagna, maggiorati anche di prezzo. Se desideri una cosa, per quale motivo pagarla meno, non è più logico pagarla di più?».

Ma non c'era la crisi e i negozianti non hanno bisogno di vendere? Alcuni sostengono che il cartello in palese esposizione non influisca sul cliente, ma sta di fatto che dove «Saldi» è segnato in grande e in rosso la gente è tanta e molti sono anche gli italiani. Pieni, infatti, i due negozi di scarpe Vergelio in corso Vittorio Emanuele e Vierre in Montenapo con tanto di logo «Sale» in gustosa evidenza. L'acquisto deve essere un bel gioco, non il simbolo della puzza sotto un naso che non si può più turare. Rimane un gioco in grandi capitali mondiali come Parigi, Londra, New York, il fatto che non accada a Milano dimostra una politica sul commercio malefica per l'economia; non a caso tutti i grandi marchi italiani vengono acquistati dagli stranieri, così siamo in saldo nei veri processi che contano.

Stracolma la Rinascente, un luogo dove il lusso non manca di certo e non manca neppure l'agio di sperare che tutti possano farcela ad arrivare al capriccio esclusivo. L'impressione che si stia ritornando a un momento storico in cui tutti i diritti democratici si stanno rintanando in élite sempre più compatte serpeggia non solo in politica ma persino in un campo leggero come gli acquisti. Via Torino pullula di giovani che si concedono il jeans o il maglione, anche Brera non scherza in quanto a vivacità d'acquisto, confermandosi il «salottino» bohémienne e chic della città, dove l'eleganza non si basa sulla quantità di zeri, ma sulla qualità d'essere davvero una cifra se hai fiuto per lo stile.

Una turista napoletana esce da un negozio della Galleria e si lamenta: «Non è possibile che ti guardino come una pezzente se chiedi se ci soano saldi in corso. Ma questa non dovrebbe essere la città della shopping?». Pare che non vada più di moda neppure questa parola. Tra poco sarà cancellata, come sostantivo americano che significa ancora libero acquisto, un libero acquisto sinonimo di mancanza di classe secondo una filosofia che odora molto di tempi reazionari.

Le signore sono allegre da Roger Vivier, in via Sant'Andrea.

Godono del 40 per cento di sconto sulla scarpa con inconfondibile fibbia che fu immortalata da Catherine Deneuve in Bella di giorno. Anche da questa porta i giapponesi escono con pacchi che fanno credere che la crisi sia un incubo di ieri.

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