Otto imputati per la tragica e prematura morte di Giacomo, travolto e ucciso sulla sua bici in via Solari. E nel numero insolitamente alto di imputati sta anche la spiegazione del dramma che ha strappato alla vita e alla famiglia vita un ragazzino di dodici anni. Ognuno degli imputati ha fatto un solo sbaglio, un errore che di per sè sarebbe rimasto senza conseguenze. Ma il destino ha voluto che tutti questi errori convergessero in un unico punto del tempo e dello spazio. E si trasformassero in un delitto.
Omicidio colposo. Con questa l'accusa il pubblico ministero Cristiana Roveda chiede che siano rinviati a giudizio gli otto responsabili della morte di Giacomo Scalmani, travolto da un tram mentre pedalava verso casa, nel buio di una sera di pioggia del novembre scorso. La dinamica, così come l'ha ricostruito il pm è a suo modo semplice: Giacomo con la sua bici st a viaggiando verso la periferia, da un'auto parcheggiata si spalanca improvvisamente la portiera posteriore, il ragazzino vi va a sbattere contro, poi cade al suolo sui binari del tram. In quel momento sta arrivando il tram numero 1. Per il giovane ciclista non c'è scampo.
Ma come tradurre in responsabilità penali questa sequenza di eventi? Il problema relativamente più semplice riguardava la posizione del guidatore del tram. Poteva frenare in tempo? La Procura è convinta di sì: se avesse tenuto la velocità che il clima e l'oscurità avrebbero suggerito, l'1 avrebbe fatto in tempo a fermarsi prima di investire Giacomo: e così il manovratore diventa il primo degli imputati. La seconda domanda riguardava il ruolo della giovane passeggera dell'auto, che apre la portiera senza guardare chi sta arrivando: una sciatteria diffusa, ma che in questo caso ha provocato una tragedia. E anche per la ragazza la richiesta di rinvio a giudizio è inevitabile.
Più complesso il ruolo del proprietario dell'auto, anche lui un giovane. In quel tratto di via Solari la sosta è vietata, e se il divieto fosse stato rispettato Giacomo sarebbe ancora vivo. Ma il cartello con il divieto era stato rimosso per dei lavori in corso, e questo sembrava eludere la responsabilità dell'automobilista: invece il pm ritiene che comunque la prudenza avrebbe dovuto sconsigliare di parcheggiare in un tratto dove tra marciapiede e binari c'erano poche decine di centimetri di spazio. Ed è per questo che anche per il giovane si chiede il processo.
Ma l'assenza dei cartelli è stata comunque un elemento decisivo della tragedia: se il divieto fosse stato visibile, si può ritenere che il proprietario non avrebbe parcheggiato lì la sua Yaris. E l'incidente non sarebbe accaduto. Per questo vanno processati anche due funzionari del Comune che aveva appaltato il cantiere, e quattro delle aziende che avevano in esecuzione i lavori.
Il Comune non è chiamato in causa.
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